Generalmente, le azioni che pagano un alto dividendo sono ben viste dagli investitori, specialmente durante fasi di mercato turbolente come questa. Storicamente, i dividendi hanno rappresentato il 40% del reddito totale degli investitori azionari. Perciò, la convinzione che sia una buona strategia ha delle ragioni credibili.
Occhio agli specchietti per le allodole
Tuttavia, esistono situazioni oltre le quali i titoli ad alto reddito comportano un rischio maggiore rispetto alla media del mercato. Per esempio, subito dopo il grave incidente petrolifero del 2010 nel Golfo del Messico, il dividend yield (rapporto dividendo-prezzo) delle azioni British Petroleum era pari al 9%, un valore piuttosto alto. Sarebbe stato un investimento eccellente se questa redditività fosse stata sostenibile (il dividend yield di un concorrente come Exxon Mobil, ad esempio, era del 3%). E il mercato anticipò che il dividendo sarebbe stato ampiamente ridotto. Un altro esempio riguarda il settore immobiliare americano. “Giusto prima dello scoppio della bolla immobiliare del 2008, c’erano azioni del settore real estate che offrivano dividendi del 18%, valori che erano chiaramente una trappola”, commenta Michael Rowson, analista Etf di Morningstar.
Un modo semplice e diretto per esporsi verso le azioni con i migliori dividendi è passare per un Etf dedicato. Ma anche in questo caso occorre essere sicuri di evitare gli specchietti per le allodole. Quale strategia utilizzano i replicanti per evitare queste trappole?
Non tutti gli Etf sono uguali
In teoria, una maniera semplice di costruire un fondo high-yield sarebbe quella di ponderare i titoli per il loro rapporto dividendo-prezzo, in modo che le azioni con cedole più alte siano anche quelle col peso più importante. Tuttavia, questa strategia non depura il portafoglio da quelle società di bassa qualità con valori non sostenibili.
“Un modo per evitare la trappola del dividendo è selezionare quelle aziende che hanno costantemente presentato incrementi nei propri dividendi”, afferma l’analista Morningstar. “Ad esempio, il Vanguard Dividend Appreciation ETF e il PowerShares Dividend Achievers selezionano i propri titoli da una lista di aziende che hanno aumentato il proprio dividendo negli ultimi 10 anni almeno. Lo SPDR S&P Dividend, invece, richiede ben 25 anni di incrementi nel dividendo per venire selezionati”. In questo caso, infatti, il portafoglio si compone di soli 60 titoli, visto che poche società possono vantare degli incrementi costanti per un periodo di tempo così lungo.
Quest’ultimo, inoltre, segue un metodo di ponderazione in funzione del rapporto dividendo-prezzo, ovvero garantisce un peso maggiore a quei titoli che offrono un dividend yield più elevato. Al contrario, i primi due Etf ponderano i propri titoli basandosi sulla capitalizzazione di mercato, strategia che permette di mantenere una volatilità più bassa, in quanto le azioni con più alto dividend yield sono di norma più volatili.
Un ulteriore metodo per evitare la trappola del dividendo è costruire l’indice in funzione dei dividendi effettivamente staccati e non del rapporto tra dividendo e prezzo. “Questo porta come conseguenza una maggiore attenzione verso le imprese a più elevata capitalizzazione, dato che di solito pagano dividendi più elevati in termini assoluti”, prosegue Rowson. Gli Etf WisdomTree LargeCap Dividend e iShares Dow Jones Select Dividend Index seguono questa filosofia.
Infine, nonostante questi siano i metodi più utilizzati, ne esistono anche altri. Il replicante First Trust Value Line Dividend Index, per esempio, include nel proprio portafoglio titoli con un dividend yield superiore alla media, però esige anche che le società si piazzino nelle prime due posizioni (su un totale di cinque) di una classifica basata sulla stabilità del prezzo e sulla qualità del loro bilancio. Dopodiché, l’Etf pondera i titoli tutti con lo stesso peso.
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