Le polizze vita finanziarie (unit e index linked) non hanno più il fascino di una volta. Le ultime statistiche dell’Ania (l’associazione delle imprese di assicurazione) mostrano un declino nella raccolta premi di nuova produzione nel corso del 2011 e nel primo mese di quest’anno. La volatilità dei mercati e gli shock successivi al fallimento di Lehman Brothers hanno fatto emergere i rischi finanziari di questi prodotti agganciati all’andamento dei mercati. Molti sottoscrittori hanno visto ridursi il valore della polizza, come conseguenza della diminuzione di quello dei titoli sottostanti e in alcuni casi del loro default.
Il fenomeno è stato amplificato dalla rapida diffusione di questi prodotti tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio, facilitata da un quadro regolamentare meno rigoroso rispetto a quello di altri strumenti finanziari e dagli elevati costi che garantivano alti guadagni ai collocatori (soprattutto sportelli bancari e postali). Oggi, la normativa è stata affinata, ma è rimasto un lungo strascico di contenziosi aperti. Secondo una recente analisi svolta dal mensile Le società, nel periodo compreso tra il 2005 e il 2011 sono state pubblicate crica trenta pronunce, tutte emesse da giudici di primo grado per polizze stipulate intorno all’anno Duemila.
Un’assicurazione sulla vita?
L’aspetto fondamentale riguarda l’iniziale qualificazione di tali prodotti in termini di contratti di assicurazione sulla vita, che secondo il nostro ordinamento si caratterizzano, nella loro forma tipica, per la finalità previdenziale, che si traduce in certezza della prestazione. Perché ciò accada è necessario che, sia il rischio demografico sia quello finanziario, sia in capo all’impresa assicurativa. In realtà, però le linked di “prima generazione” trasferivano il rischio finanziario sul contraente (la prestazione dipendeva dall’andamento dei titoli o fondi sottostanti). Successivamente, l’Isvap (Istituto di vigilanza sul settore) è intervenuto con un Regolamento (n.32 del 2009) per riconfigurare il contratto in modo da valorizzare il carattere previdenziale, che i tribunali, nella quasi totalità dei casi a loro sottoposti, non hanno riconosciuto nelle polizze index e unit.
Un altro importante intervento normativo è avvenuto nel 2005, quando il legislatore ha distinto i prodotti finanziari emessi dalle compagnie assicurative da quelli tradizionali, assoggettando i primi alla disciplina in materia di intermediazione finanziaria, con particolare riferimento alla profilazione del cliente (propensione al rischio e obiettivi di investimento) e alla fornitura di adeguate informazioni sulle caratteristiche e l’adeguatezza delle polizze al potenziale sottoscrittore.
Le insidie del nuovo
La definizione di un quadro regolamentare a maggior garanzia dell’investitore è coinciso con una progressiva perdita di popolarità di questi strumenti, che lascia il campo libero all’introduzione sul mercato di nuovi prodotti di ingegneria finanziaria, per i quali le zone d’ombra possono essere ugualmente pericolose per gli investitori. Le maggiori insidie riguardano la flessibilità utilizzata nella loro strutturazione resa possibile proprio dalla mancanza di una normativa specifica. Essa fa rima con complessità e costi più alti per il cliente. Purtroppo, la storia insegna che il legislatore arriva spesso in ritardo, per sanare più che prevenire situazioni pregiudizievoli. E di norma il suo intervento avviene quando le cause sono arrivate in tribunale. Per questo la miglior difesa per l’investitore è quella di comprare solo ciò che comprende, dopo avere richiesto e letto i documenti informativi e verificato la coerenza delle proposte con i propri obiettivi finanziari. Se un prodotto è opaco, il dubbio è legittimo.
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