La crisi europea non finisce con la Grecia

Il salvataggio di Atene, dicono gli operatori, cambia l'umore dei mercati ma non risolve i problemi di Eurolandia. Intanto arrivano nuove difficoltà.

Marco Caprotti 15/03/2012 | 14:12
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Meglio non farsi illusioni: l’assegno da 130 miliardi di euro staccato dall’Europa e dalle istituzioni finanziarie internazionali per aiutare la Grecia non basterà a risolvere la crisi del Vecchio continente. E non importa se l’agenzia di rating Fitch ha alzato il giudizio di lungo termine sulla Grecia a B- da Restricted Default (RD), con outlook stabile (l’agenzia, peraltro ha chiarito di aver dato la valutazione ai nuovi titoli emessi nell’ambito del programma di concambio dei titoli di Stato del paese detenuti da investitori privati. Il rating sui bond di diritto estero rimarrà a C, così come resta invariato il giudizio sui titoli non aventi i requisiti per partecipare allo swap). Né deve ingannare il fatto che in una settimana l’indice Msci Europe abbia guadagnato quasi il 4%, portando a +2,8% la performance dell’ultimo mese e a +10% quella da inizio anno.

Non solo Grecia
I problemi del Vecchio continente, dicono gli operatori, sono numerosi. Si va dalla situazione precaria di altri paesi di Eurolandia, il cui stato di salute per il futuro della zona è più importante di quello della Grecia, alla capacità della Banca centrale europea e dei leader politici della regione di cambiare il corso di una congiuntura orientata verso la recessione. Tutti elementi in grado di determinare le sorti dell’economia mondiale. “La realtà è che, se anche la Grecia andasse in default, l’impatto sulla congiuntura mondiale sarebbe minimo”, dice Thomas Kerins, responsabile degli investimenti della società di consulenza Manarin Investment Counsel. “Il suo Prodotto interno lordo è uguale a quello di un piccolo stato americano, mentre la maggior parte del debito è in mano a due grandi banche francesi. La bancarotta ellenica sarebbe devastante solo per la Grecia che, nel tentativo di andare avanti, si troverebbe a dover gestire un’inflazione altissima o tassi di interesse stellari”.

Chi deve essere tenuto d’occhio, secondo gli operatori, sono Spagna, Italia e, in qualche misura, l’Inghilterra. “La dimensione delle loro economie e quella del loro debito, nel caso di un collasso potrebbe causare seri problemi alla Comunità economica europea” spiega Kerins. “E’ curioso il fatto che i media e i mercati sembrino occuparsi meno di loro che di Atene”. Il premier spagnolo Mariano Rajoy a inizio marzo ha annunciato che non potrà mantenere gli impegni presi con le autorità europee. Il deficit per quest’anno sarà del 5,8% del Pil e non del 4,4%. Una situazione accettata (peraltro a sorpresa) dall’Eurogruppo. Resta invece al 3% l’obiettivo del 2013, soglia imprescindibile per i paesi dell’Eurozona. L’Italia, dal canto suo, si deve gestire un debito superiore al 120% del Pil. “La grande sfida per i due paesi è quella di veder rifinanziato il debito quando arriverà a scadenza. Per l’Italia il grosso è previsto nei prossimi tre mesi”.

Il fattore UK
Nel frattempo si sta deteriorando anche la situazione in Inghilterra. Gli ultimi dati hanno mostrato una contrazione del Pil dello 0,2% nel quarto trimestre e nella classifica dei paesi più ricchi è stata superata dal Brasile. Gli elementi preoccupanti, in un paese la cui economia per i due terzi dipende dai consumi delle famiglie, sono rappresentati dall’aumento dei costi dei mutui e il tasso di disoccupazione ai massimi degli ultimi 17 anni. L’inflazione, intanto, anche se in discesa, è al 3,6%: un livello superiore a quello massimo posto come limite dalla Bank of England e più alto dell’aumento degli stipendi dei sudditi di Sua Maestà.

“L’andamento dei prezzi al consumo renderà difficile l’adozione di nuovi piani di stimolo all’economia”, dice una nota di Russ Koesterich, direttore generale e responsabile degli investimenti di iShares. “Una soluzione potrebbe essere quella di aumentare ancora le tasse e ridurre ulteriormente le spese, rischiando però un’altra recessione”.

Insomma, sembra presto per dire che la situazione in Europa si stia tranquillizzando. “Altri problemi che deve affrontare l’area sono legati alla competitività, alla rigidità della valuta e alla mancanza di una visione comune fra le istituzioni monetarie e fiscali”, dice uno studio preparato da Saumil Parikh, direttore generale e gestore di Pimco. “Ci aspettiamo che le misure di austerità portino a una recessione nel 2012. In questa situazione gli indicatori di rischio dei paesi dell’Eurozona daranno segnali ancora peggiori prima di iniziare a migliorare. La solvibilità dei paesi può essere migliorata solo attraverso una maggiore crescita e la riduzione dei tassi sui prestiti (elemento, quest’ultimo, che può essere raggiunto con un prestatore di ultima istanza). Nessuna di queste opzioni, tuttavia, è stata offerta all’area euro”.

Le scelte operative
Dal punto di vista operativo, la situazione richiede un approccio particolarmente attento. “Continuo a credere che per gli investitori di lungo periodo l’Europa del nord rappresenti una buona opportunità”, dice Koesterich di iShares. “Mi piacciono particolarmente la Germania, i Paesi Bassi e la Norvegia”. Kerins di Manarins suggerisce di avere una prospettiva più internazionale. “Il quarto anno di mercato Orso e le elezioni negli Stati Uniti promettono grandi cose”, spiega. “Le due situazioni, prese singolarmente hanno poi dato vita a buone situazioni di investimento. Nel 2012 le abbiamo entrambe contemporaneamente”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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