Alla Morningstar Investment Conference Europe (MIC), tenutasi a Vienna il 15 marzo, sono stati presentati due punti di vista opposti sull’euro, ma su una cosa i due relatori erano d’accordo: l’attuale caos è in gran parte colpa dei politici.
L’euro: un matrimonio fallimentare?
Andrew Clare, socio della Cass Business School e professore di Asset management, ha titolato la sua presentazione The Euro: a marriage made in hell? e ha accusato i politici per aver costruito un’unione basata su due falsità. La prima, secondo il professore, è che senza una moneta unica non si poteva avera l’unione monetaria, la seconda è che è possibile avere un’unione fiscale senza prima un’unione politica. Clare crede che i politici che hanno costruito l’euro erano ben consapevoli che non era necessaria una moneta unica per il successo dell’Unione europea, ma hanno insistito più volte dichiarando la sua necessità. Inoltre, i politici sanno bene che nessuno Stato voterebbe a favore dell’unione politica.
Nel 1999 l’Ue è riuscita a far convergere le economie per entrare nell’euro, ma ciò può non durare, ha affermato Clare. Riprendendo la teoria delle aree monetarie ottimali di Robert Mundell, Clare ha osservato che i cicli economici delle economie dell’Eurozona non sono allineati, che i loro salari e i livelli di occupazione non sono sufficientemente simili e che rispondono alla crisi in modo diverso. Tutto questo, rende il matrimonio fallimentare.
Clare ritiene che l’Ue sarà in grado cavarsela ancora per qualche tempo, ma superare la crisi del debito attuale non rappresenta la fine delle difficoltà. “Abbiamo bisogno di prevedere la possibilità di divorzio con la creazione di regole di uscita credibili”, ha suggerito, aggiungendo che l’idea che una tale unione potesse essere per sempre, senza prevedere alcuna possibile strategia di uscita, è stato un errore grave fin dall’inizio. Le banche devono scrivere il proprio “testamento biologico” nel caso accada ancora un fallimento del tipo Lehman, così come l’Ue deve scrivere il “testamento biologico” dei suoi Stati nel caso in cui uno shock in stile greco si verifichi nuovamente, in modo mitigare la paura e l’incertezza.
L’euro: ecco perchè è un bene per l’Europa
La visione opposta? Secondo Peter Bofinger, professore di economia monetaria e internazionale presso l’Università di Wuzburg e membro del Consiglio tedesco degli esperti economici, l’unione monetaria europea ha un’architettura instabile ma la situazione è migliore di quello che si pensa.
“Confrontare i livelli di debito della zona euro a quelli del Regno Unito, degli Usa e del Giappone suggerisce che l’Eurozona sia un’isola di stabilità”, ha commentato Bofinger in occasione della presentazione dei dati del debito in percentuale del Pil. La situazione viene dipinta disastrosa, ma i dati mostrano che in una visione a lungo termine l’Europa potrebbe far fatica, ma non dovrebbe essere al punto di collasso. In Germania, ad esempio, l’attuale tasso medio d’inflazione, circa il 2,7%, corrisponde al tasso medio di inflazione durante gli anni della Bundesbank (1949-1998), quindi le argomentazioni contro l’euro non stanno in piedi rispetto al periodo pre-unione. Inoltre, “anche la Grecia ha ancora un po’ di respiro, almeno fino a quando non arriva allo stato del Giappone, come debito pubblico in percentuale del Pil”, ha sottolineato Bofinger. In più, secondo il professore, l’idea per cui i diversi livelli di Pil pro-capite nella zona euro sono un problema per un’unione monetaria armoniosa, è un’ipotesi infondata, visto che livelli simili di disuguaglianza si ritrovano tra gli stati americani.
Bofinger ammette che ci sono due modi per guardare ogni storia, come in un quadro di Escher: guardando il bianco si vedono gli angeli dipinti, guardando il nero si vedono i diavoli. Osservati in questa luce, i dati possono presentare una visione più ottimistica rispetto a quello che molti sono stati indotti a credere; ma ciò che ha fallito è stata la politica. “I governi hanno fatto molto per creare un clima di incertezza”, ha detto Bofinger. “Dato questo stato innaturale, i mercati hanno reagito irrazionalmente”.
Bofinger ha poi evidenziato ciò che lui chiama “l’elemento prociclico dell’approccio troika”. Ovvero, quando le cose vanno male per l’economia, il processo di consultazione tra la Bce, l’Ue e il Fondo monetario internazionale crea incertezza sul mercato, che innesca una spirale verso il basso, in modo tale che una recessione del 3% in Grecia diventa una recessione del 7%.
Ma la zona euro non è condannata, secondo Bofinger. La premessa di tale unione rimane forte e la moneta unica potrebbe, anzi dovrebbe, essere una valuta valida per il futuro; il problema è che l’architettura dell’unione monetaria è instabile. Per crearne una stabile, la politica fiscale deve essere trasferita a livello europeo. Bofinger pensa che ci sia l’80% di probabilità che i governi europei spingano per stabilizzare la struttura delle finanze pubbliche.
Sebbene i due professori abbiano opinioni diverse sul successo della moneta unica, sia Bofinger che Clare sembrano concordare sul fatto che ciò che è necessario è la volontà politica e la fine del cattivo comportamento dei governi, ma anche la disciplina del settore privato, delle famiglie e delle banche. Un vero sforzo unificato per una vera unione.
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