I fondi d’arte continuano a essere una buona alternativa di investimento, ma non tutti riescono a trovare la loro posizione nel mercato. Gli analisti di Skatepress, esperti del settore, hanno pensato di delineare tre categorie: i buoni, i brutti e i cattivi.
I buoni
I primi sono quei fondi che una volta lanciati sono riusciti a raccogliere il capitale necessario per avviare le strategie di investimento. Dimostrano di perseguire obiettivi di trasparenza tra investitori e fund manager e ottengono buoni rendimenti. Nel gruppo rientrano sei fondi gestiti da Philip Hoffman, basati nello stato americano del Delaware, con asset complessivi per 110 milioni di dollari, strutturati come private equity e con commissioni del 2% sul capitale investito e del 20% sui rendimenti. Anche il lussemburghese Dionysos Art Fund è un fondo buono, specializzato sull’arte antica, che nel 2011 ha raccolto 180 milioni di euro e ha registrato una performance dello 0,124%. Altri due buoni sono fondi basati nelle Isole Cayman, l’Art Photography Fund e lo Sharpe Art Fund che hanno avuto l’anno scorso performance annuali positive, rispettivamente dell’8,2% e del 10,14%.
I brutti
La categoria più vasta sono i brutti perché racchiude tutti quei fondi che, pur avendo alle spalle programmi di investimento strutturati e dotati di manager in grado di generare utili significativi non riescono a collocarsi sul mercato e a raggiungere il capitale minimo per il lancio e rimangono in stand by. I casi sono soprattutto in Europa, dove molti fondi di investimento non riescono a partire per mancanza di adesioni e volumi insufficienti di capitale. Eppure anche nel 2011 il dato globale del giro d’affari dell’arte è ulteriormente cresciuto. A dirlo sono i monitoraggi di Art Tactic e di Deloitte che hanno registrato, nell’ultimo anno, 960 milioni di dollari investiti in fondi d’arte, rispetto ai 760 milioni del 2011.
I cattivi
Veniamo ai cattivi. Non sono molti e interessano meno perché ormai falliti. Sono stati cattivi quegli strumenti che, dopo il loro lancio, erano riusciti a ottenere i giusti capitali per avviare l’attività, ma la gestione inefficiente del team sulle operazioni e sui tempi, associata alla bolla speculativa del 2007, li ha visti crollare. Due su tutti sono stati l’Osian Fund e il Trading Art Fund. Non così, il Pinacotheca Fund, unico fondo chiuso di diritto italiano, autorizzato dalla Banca d’Italia, che da anni è inattivo. Il fondo italiano, infatti, non ha mai fallito. Deve solo trovare una società lo rilevi e lo faccia partire senza conflitti di interesse. Sorgente Group che nel 2008 lo acquisì da Vegagest, ora sta cercando di venderlo per non collimare con la missione e il mecenatismo che caratterizzano la Fondazione d’arte Sorgente.
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