Cigni neri? No tacchini

Sui mercati finanziari, i crac sono sempre esistiti. Un investitore deve metterli in conto, nella consapevolezza che ci sono strumenti per difendersi.

Sara Silano 22/03/2012 | 14:43
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Giù le mani dal cigno. E’ il tacchino che è nero. Nella terminologia zoologica della finanza, entra il grosso uccello domestico che ha testa e collo nudi, barbigli rossi e penne scure. Per Paul Kaplan, direttore della ricerca quantitativa di Morningstar in Europa, intevenuto alla conferenza “Markowitz 2.0”, nei giorni scorsi a Milano, ci sono “stormi di black turkey” sui mercati.

L’espressione “cigni neri”, coniata dal filosofo e matematico, Nassim Nicholas Taleb, indica un evento eccezionale e imprevedibile con una forza dirompente che crea una rottura rispetto al passato. In realtà, sui mercati i crac sono sempre esistiti e continuano a verificarsi, forse in modo un po’ più frequente. Nella crisi del 1929, Wall Street ebbe un tracollo dell’89% dal suo picco massimo, all’inizio degli anni Ottanta il prezzo dell’oro crollò; la bolla tecnologica ha avuto un costo molto alto (il Nasdaq ha perso il 78% dai massimi). Infine, la crisi dei mutui subprime e il crack Lehman Brothers hanno ridotto del 57% il valore dell’S&P 500 tra il 2007 e il 2009.

Perché i tacchini
Kaplan sostiene, dunque, che sia meglio parlare di “tacchini neri”, ossia di eventi straordinari e drammatici che bisogna mettere in conto anche se non si sa quando avverranno. I modelli tradizionali di costruzione del portafoglio, basati sulle teorie del Premio Nobel per l’economia, Harry Markowitz, non tengono in debita considerazione gli shock, per cui hanno mostrato tutti i loro limiti nell’ultimo decennio. Ma questo non vuol dire che è ora di mandare in soffitta il principio della diversificazione. Se a gennaio del terribile 2008 avessimo investito 100 dollari solo in azioni, a dicembre ce ne sarebbero rimasti 63, mentre se avessimo inserito un 40% di obbligazioni e un 10% di liquidità ne avremmo avuti 84 e se fossimo stati molto difensivi (solo il 25% in azioni) 94.

Appurato che resta valido il concetto di “non mettere tutte le uova nello stesso paniere”, quello che un investitore del XXI secolo deve fare è utilizzare parametri diversi per scegliere cosa mettere in portafoglio e come assemblare il tutto. In particolare, deve tenere in considerazione due aspetti. Il primo è che la probabilità di avere ritorni deludenti è maggiore di quanto teorizzato in passato e il secondo è che lo scenario di riferimento non può essere ricondotto solo a poche variabili (ad esempio il tasso di inflazione e quello di crescita). Nel 2011 nessuno ha potuto ignorare la crisi del debito sovrano in Europa, le difficoltà del sistema bancario e i capovolgimenti politici in alcuni paesi.

Le sfide del 2012
Il 2012 si presenta, ugualmente, ricco di sfide. Come ha spiegato, durante la conferenza, il professor Giorgio Di Giorgio, professore di Macroeconomia ed economia monetaria presso l’Universita Luiss “Guido Carli” di Roma e consigliere indipendente di Eurizon Capital Sgr, i mercati continueranno a guardare quello che succede nell’area euro, in particolare cercheranno di capire se la politica monetaria espansiva della Banca centrale avrà successo nello stimolare la crescita, soprattutto nei paesi periferici che si trovano in recessione. E’ anche importante che il mercato interbancario torni a funzionare regolarmente. Infine, un altro interrogativo riguarda la risposta della politica, che è stata inadeguata nel 2011. Il rischio è che le azioni quest’anno siano dettate più dal calendario elettorale che dall’obiettivo di uscire dalla crisi.

Per gli investitori, non esiste la formula magica che mette al riparo dai rischi. Un bravo gestore, tuttavia, deve essere consapevole che i rendimenti non hanno un comportamento “normale” e che le diverse asset class (azioni, obbligazioni, ecc.) si relazionano tra loro in modo complesso e non lineare (ad esempio, l’anno scorso avere titoli di stato italiani e azioni domestiche non avrebbe dato un grande contributo in termini di diversificazione). Infine, anche la misurazione del rischio non può prescindere dalla probabilità di shock e dal fatto che l’investitore è molto più sensibile alle perdite che ai potenziali guadagni.

Per approfondire i temi legati ai nuovi modelli di costruzione del portafoglio e a Markowitz 2.0, leggi Morningstar Investor.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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