L’Europa non riesce a conquistare la fiducia dei mercati. E non è solo una questione legata al problema del debito sovrano di alcuni paesi. Alla base della disaffezione degli investitori per il Vecchio continente ci sono anche elementi macroeconomici che spingono gli investitori verso lidi la cui congiuntura sembra più solida come, ad esempio, gli Stati Uniti. Nell’ultimo mese l’indice Msci Europe (calcolato in euro) è rimasto inchiodato appena sopra quota zero, mentre il listino Usa ha guadagnato il 3,5% circa.
In Europa più scuri che chiari
Nella fotografia che arriva dal fronte macroeconomico europeo, gli scuri prevalgono sui chiari. La prima lettura degli indici Pmi (che monitorano le decisioni dei direttori degli acquisti delle aziende) europei di marzo ha deluso le attese. Il Composite area euro è sceso da 49,3 a 48,7, il secondo calo consecutivo dopo il deciso recupero a cavallo tra 2011 e 2012 che l’aveva portato sopra quota 50 (ogni risultato superiore a questa soglia indica espansione) nella rilevazione di gennaio. A livello di singoli paesi, il Pmi manifatturiero è sceso sotto quota 50 sia in Francia (47,6) che in Germania (48,1), mentre il calo della componente servizi è emersa solo in Germania (-1 punto a 51,8). “Il livello del primo trimestre 2012 segnala la probabile contrazione del Pil europeo nella prima parte dell’anno, anche se le variazioni dovrebbero essere marginali”, dice una nota di Banca Intermobiliare (Bim).
L’indice di fiducia delle famiglie dell’intera area euro è migliorato più del previsto a marzo, salendo da -20,3 a -19, su livelli comunque inferiori alle medie storiche. Gli indici dei singoli paesi hanno visto un miglioramento evidente in Francia (fiducia negli affari delle imprese manifatturiere da 92 a 96, fiducia dei consumatori da 82 a 87) e in Italia (fiducia dei consumatori da 94,4 a 96,8). “Tutti gli indici, ed in particolar modo quello del Belpaese, rimangono comunque su livelli abbastanza bassi, non sufficienti ad alimentare un incremento dei consumi duraturo”, continua il report di Bim. Il dato generale dell’area euro sugli ordini industriali di gennaio ha evidenziato un calo mensile del 2,3%, che porta il dato anno su anno a -3,3%, dopo il buon andamento di dicembre. Le vendite al dettaglio italiane di gennaio hanno sorpreso in positivo, con un inaspettato progresso dello 0,7% mese su mese. Il trend di fondo, tuttavia, rimane ancora negativo. Buone indicazioni sono arrivate dall’indice Ifo tedesco di marzo (che monitora la fiducia delle imprese), che continua la salita pur aumentando di un solo decimo a 109,8. “L’Ifo fornisce indicazioni migliori rispetto al Pmi, alimentando le speranze per una rapida ripresa dell’economia tedesca già a partire dal trimestre primaverile” dice lo studio.
Resta il nodo Grecia
C’è poi una situazione di rischio generalizzato che non va dimenticata. E’ vero che le acque sono meno agitate da quando l’Eurogruppo ha dato il via libera al secondo round di aiuti alla Grecia. “L’accordo su Atene, tuttavia, non ha risolto il problema. Ha solo fatto guadagnare tempo”, spiega Frantz Wenzel, responsabile delle strategie di investimento di Axa Investment Managers. “Non bisogna poi dimenticare che un rapido aumento dei prezzi del petrolio potrebbe far finire la festa prima del previsto e che ci potrebbe essere un improvviso stop alla liquidità”. Le preoccupazioni sulla situazione ellenica, peraltro, sono condivise da diversi operatori. Per Moritz Kraemer, responsabile dei rating ai debiti sovrani dell’agenzia di rating Standard&Poor’s “la Grecia potrebbe avere bisogno di un'altra operazione di ristrutturazione del debito”. Secondo Poul Thomsen, responsabile della missione ad Atene del Fondo monetario internazionale “ci vorranno almeno dieci anni prima che la Grecia completi le riforme richieste”.
Le quattro zavorre
Per Jeremy Glaser, analista di Morningstar, ci sono almeno quattro motivi per cui l’Europa non riesce a tenere il passo di altre aree sviluppate. “Il primo deriva direttamente dalla crisi del debito. Uno degli elementi principali per la crescita sono gli investimenti delle aziende. Ma l’unico modo per spingere i manager a fare grandi spese è quello di convincerli che lo sforzo finanziario, nel tempo, darà dei frutti. La crisi del debito ha creato un’atmosfera in cui questa fiducia manca. Un atteggiamento che ha contagiato anche i consumatori”. Un altro elemento che frena il Vecchio continente è la poca voglia delle banche di concedere prestiti. Un sistema come un altro per cercare di avere solidi bilanci in tempi difficili “La decisione della Banca centrale europea di dare prestiti agevolati al sistema finanziario per tre anni non ha cambiato la situazione”, continua Glaser. “L’aiuto della Bce è stato fondamentale per evitare il collasso delle banche ed è stato un elemento importante nella stabilizzazione della crisi. Tuttavia gli istituti di credito non hanno ancora fatto niente per dare una mano all’economia reale”.
Il terzo motivo discende dalle misure di austerità messe in campo dai diversi paesi per far fronte alla crisi. “I tagli nelle spese statali, dai licenziamenti di impiegati pubblici alla diminuzione delle spese per le infrastrutture, hanno creato altre correnti contrarie alla crescita economica”, spiega l’analista di Morningstar. “Forse si trattava di scelte necessarie per rimettere i conti a posto, ma sono state prese a discapito del miglioramento della congiuntura”. L’ultimo elemento a fare da zavorra al Vecchio continente è la politica monetaria della Bce. “A differenza della Federal Reserve, che ha il mandato di controllare l’inflazione e quello di stimolare la crescita, la Banca centrale europea contrasta solo l’effetto dell’aumento dei prezzi”, conclude Glaser. “Quindi, mentre la Fed ha potuto utilizzare anche mezzi poco convenzionali per contrastare la crisi economica, l’istituto del Vecchio continente ha avuto spazi di manovra limitati”.
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