L’andamento delle commodity, ancora una volta, dà una fotografia precisa della situazione dell’economia mondiale. L’indice S&P del comparto nell’ultimo mese (fino al 10 aprile e calcolato in euro) ha perso il 5,9% anche se da inizio anno ha guadagnato l’1,5% circa. Il tutto in mezzo a una forte volatilità che, pur essendo una caratteristica di questo asset di investimento, è stata alimentata dalla complessa situazione, anche politica, che stanno vivendo i mercati e la congiuntura globali.
Il barile non si cura dell’Arabia
Un buon esempio è fornito dal petrolio. Nel primo trimestre dell’anno il prezzo del greggio è stato (mediamente) di 118,45 dollari al barile, uno dei valori più alti dal periodo aprile-giugno 2008 quando l’oro nero ha avuto una quotazione di 122,79 dollari. La qualità Brent, che rappresenta circa la metà del petrolio mondiale, da inizio anno è salita di circa il 13%, avvicinandosi a 123 dollari. Un andamento, almeno a prima vista, curioso considerando che i pozzi dell’Arabia Saudita stanno lavorando a un ritmo che non tenevano da almeno tre anni e tenendo conto che il paese arabo si è detto pronto ad aumentare l’estrazione di un ulteriore 25%.
L’andamento del barile stupisce meno se si prendono in considerazione le crisi geopolitiche che stanno attraversando alcune regioni chiave per la produzione e l’esportazione come l’Iran e il Sudan. Il tutto in un momento in cui la ripresa mondiale manda segnali contrastanti sulla sua tenuta. “Il prezzo del petrolio è cresciuto grazie alle avvisaglie di recupero arrivate dagli Stati Uniti, insieme alla sensazione che la recessione europea non diventerà una depressione e alle notizie di tensioni in Medio oriente”, spiega una nota firmata da Matt Lloyd, strategist di Advisor Asset Management. “Tuttavia, nelle considerazioni sull’andamento del barile bisogna inserire le valutazioni sulla Cina. Mentre Pechino parla di un rallentamento della crescita, il mercato si aspetta nuove manovre di stimolo da parte della Banca popolare. Il risultato è che l’andamento del barile diventerà ancora più volatile, mostrando una tendenza a muoversi verso l’alto”.
L’oro nella forchetta
Ad aggiungere confusione a un quadro poco chiaro ci si mette anche l’oro. Il più classico dei beni rifugio continua a muoversi in una forchetta compresa fra 1.800 e 1.550 dollari, apparentemente indifferente ai nuovi venti di crisi del debito che stanno arrivando dalla Spagna e all’intenzione della Corea del nord di lanciare un satellite (annuncio che ha fatto scattare l’allarme rosso sia in Cina che negli Usa).
In realtà l’andamento del metallo giallo è frutto di due strategie diverse attuate dagli investitori. Da una parte ci sono quelli che hanno deciso di liberarsi di alcune posizioni in oro per coprire le perdite che ultimamente stanno registrando sui mercati azionari dove sembra essersi esaurito il rally iniziato a gennaio. Dall’altra sono sistemati quelli che preferiscono non rinunciare all’investimento in oro nella convinzione che la corsa del minerale ripartirà a breve.
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