Gli italiani non risparmiano e non consumano. Secondo il Bollettino economico della Banca d’Italia, la propensione a mettere da parte dei soldi è diminuita dello 0,7% nel 2011 e in pochi anni è passata dal 16 al 12%. Le spese delle famiglie, invece, sono calate dello 0,8% nel secondo semestre dell’anno scorso, con la contrazione maggiore registrata dai beni durevoli. D’altra parte, è difficile fare le “formiche” o le “cicale” quando il reddito disponibile si riduce (in tre anni ha segnato -5%).
Nella relazione di accompagnamento al Documento di economia e finanza, approvato dal Governo mercoledì 18 aprile, si prevede un ritorno alla crescita nel 2013. Sono stime, mentre è oggi un dato di fatto che il Belpaese si trovi in una recessione, aggravata da una profonda crisi occupazionale, come ha sottolineato il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, intervenuta in videoconferenza all’apertura del Salone del risparmio che si tiene in questi giorni a Milano.
Trend discendente
Sul fronte del risparmio, in particolare, sono avvenuti profondi cambiamenti dagli anni Novanta, con una decrescita, in rapporto al Prodotto interno lordo (Pil) fino al 2000, una breve risalita e un’ulteriore discesa a partire dal 2005. Gli italiani non sono più le “formiche” d’Europa, al contrario i dati oggi sono inferiori alla media europea. Come emerge dall’Osservatorio sui risparmi 2012 redatto da Gfk Eurisko e Prometeia, presentato al Salone del risparmio, le famiglie del Belpaese stanno pagando un costo tra i più elevati nel Vecchio continente (insieme a quelle spagnole) per la crisi del debito sovrano e l’aumento della pressione fiscale. La situazione, si legge nel rapporto, è destinata a perdurare, in quanto “le manovre approvate, che ammontano complessivamente a 48 miliardi di euro quest’anno, per arrivare a oltre 80 cumulati nel 2014, sono per il 70% a carico delle famiglie”. In tale scenario, gli autori del documento, prevedono che la propensione al risparmio (oggi ai minimi storici), rimanga attorno agli attuali livelli, stabilizzando la dimensione dei flussi annui di nuovo risparmio a circa la metà rispetto al periodo pre-crisi (meno di 60 miliardi di euro).
Risparmio senza investimenti
In Italia si è inceppato anche un altro meccanismo della crescita, quello che converte il risparmio in investimenti. Nel 2011, le attività finanziarie delle famiglie sono scese di oltre il 3%, per il quinto anno consecutivo, mentre il bacino degli investitori è rimasto stabile attorno al 30% (circa 6 milioni di nuclei). Anche all’interno di questo universo, però, la tendenza è stata a privilegiare buoni postali e beni rifugio, mentre il risparmio gestito ha registrato un’ulteriore calo di fiducia proseguendo il trend cominciato nel 2008. Più in generale, gli italiani sembrano optare soprattutto per i conti di deposito, più che per altri prodotti finanziari, oltre ad avere recentemente mostrato un ritorno di fiamma per i titoli di Stato.
Fondi pensione, che delusione
Completa il quadro “crepuscolare” del risparmio italiano, un sistema di previdenza complementare che non è mai decollato. Come ha ricordato il ministro Fornero, i fondi pensione sono stati introdotti vent’anni fa, forse con eccessive aspettative nei loro confronti. Avrebbero dovuto rispondere all’esigenza di intergrare l’assegno sempre più magro dell’Inps, essere un motore per lo sviluppo dei mercati finanziari, una fonte stabile di capitale di rischio per le imprese e un fattore per migliorare la governace delle aziende. Le attese sono andate deluse. “Qualcosa non ha funzionato”, ha detto la Fornero, tanto dal lato dei prodotti, “non sempre ben congeniati”, quanto della normativa e dell’industria. La crisi, poi, ha fatto il resto, con l’aumento dell’incertezza sul lavoro e il precariato tra i giovani.
Meno “formiche”
Se il “popolo delle formiche” è sempre meno numeroso non è solo un problema per l’industria finanziaria, ma lo è per il Paese, la sua economia e la società. Il risparmio, che oggi non c’è più, è un consumo futuro mancato, un livello di benessere inferiore nei prossimi decenni, un prosciugamento delle risorse necessarie alle imprese per investire e creare posti di lavoro. Le politiche economiche, monetarie e industriali non possono non tenerne conto. Altrimenti, quello che rimarrà sarà solo il pesante fardello del debito pubblico (magari alleggerito un po’ dall’austerità delle ultime manovre fiscali).
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