Nonostante le crescenti preoccupazioni sui problemi economici della Spagna, è il Portogallo a rappresentare la minaccia maggiore alla stabilità dell’Unione Europea. A dirlo è Valentijn van Nieuwenhuijzen, responsabile strategia di ING Investment Management.
Madrid nella bufera
Si è infatti scritto e detto molto a proposito del deterioramento della situazione economica in Spagna. L’economia è in recessione e quest’anno ci si attende una contrazione dell’1,7%, con una disoccupazione al 23%. Sono bastati meno di cento giorni perché il nuovo governo si trovasse a fronteggiare uno sciopero generale il 29 marzo e, alla luce delle ultime notizie e delle nuove misure di austerità previste, possiamo aspettarci nuove ondate di protesta.
Anche le banche iberiche, già ampiamente esposte alla bolla del settore immobiliare, avranno probabilmente bisogno di nuovi capitali per fronteggiare la crisi. Inoltre, la comunicazione lacunosa con continue rettifiche sul deficit 2012 e le continue misure di sostegno a livello europeo non hanno aiutato a calmare i mercati sul debito spagnolo. Non stupisce quindi che i rendimenti sui governativi spagnoli a dieci anni siano cresciuti di 100 punti base, raggiungendo quota 6% tra l’inizio di marzo e metà aprile, il più alto livello da dicembre.
Come ha recentemente spiegato il collega Marco Caprotti (per leggere clicca qui), in uno scenario del genere le opzioni sono due: o il paese iberico ce la fa da solo oppure dovrà cercare l’aiuto della cosiddetta Troika (Commissione europea, Bce e Fondo monetario internazionale) come ha fatto la Grecia.
“Questo perché gli investitori sono sempre più scettici sulla capacità del governo di raggiungere gli obiettivi di budget e di stimolare un’economia apatica”, commenta Valentijn van Nieuwenhuijzen.
Ma Lisbona è più “contagiosa”
Nonostante ciò, lo strategist di ING non ritiene che la Spagna abbia bisogno di misure si salvataggio simili a quelle dell’Irlanda o del Portogallo. Il rischio di contagio, infatti, è maggiore per quanto riguarda il Portogallo rispetto a quello rappresentato dalla Spagna. La necessità di apportare interventi per ristabilire la competitività del Portogallo è molto più urgente e il potenziale di crescita nel lungo periodo è inferiore rispetto ai cugini spagnoli.
“Nel 2013 scade il piano di salvataggio del Portogallo e il paese tonerà sul mercato del debito”, spiega van Nieuwenhuijzen. “Il problema fondamentale sarà però quello di rassicurare gli investitori sulla sua reale solvibilità. L’economia è nel secondo anno di recessione e nel 2012 registrerà un -3,25%, che segue a ruota il -1,5% del 2011. La disoccupazione continua ad aumentare, toccando il 15% a febbraio, e il costo del debito a dieci anni è oltre il 10%”.
Si rischia una seconda Grecia
Ci sono poi numerose voci e speculazioni sul fatto che il paese abbia bisogno di una seconda tranche di aiuti e una volta che il mercato comincia ad anticipare questa eventualità, è possibile che si possa creare una sorta di dinamica automatica che porti i rendimenti sui governativi portoghesi al livello di quelli greci. “Questo non toglie che il Portogallo sia stato lodato per il buon programma di riforme fiscali e strutturali e, inoltre, che su queste misure vi sia un ampio consenso politico”, prosegue van Nieuwenhuijzen. Consenso che sarà però messo alla prova dalle ulteriori riforme che si rendono necessarie sul piano del lavoro e della produzione. Di uguale importanza sarà poi la fiducia che gli altri paesi europei continueranno a dimostrare riguardo gli sforzi del governo portoghese nel perseguire il difficile percorso intrapreso”.
Nuovo piano in vista?
Il Portogallo potrebbe avere bisogno di un nuovo piano di sostegno da parte dell’Unione Europea e del Fondo monetario internazionale prima della fine dell’anno. In questo caso, i problemi potrebbero essere contenuti grazie a una cooperazione costruttiva tra i vari soggetti coinvolti. Questo non solo minimizzerebbe l’impatto negativo sul resto dell’economia europea e sul mercato dei governativi, ma aprirebbe alla reale possibilità di raggiungere gli obiettivi di lungo periodo.
“Una situazione del genere lascerebbe sperare che un’escalation della crisi del debito nel breve periodo e un conseguente contagio sui governativi al di fuori della penisola iberica sia meno probabile che durante i momenti più difficili del 2011”, conclude lo strategist. “Non bisogna però sottovalutare la capacità che ha il mercato di crearsi una realtà propria, quindi un cauto ottimismo sul fatto che nel breve periodo le tensioni possano affievolirsi è il massimo che si possa offrire in questo momento”.
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