In America lo chiamano “The Myth of the Dumb Fund Investor”, traducibile come il mito del fondista tonto. In cosa consiste? Negli Stati Uniti, ma ormai anche in Europa, ci sono alcuni luoghi comuni sugli investitori di fondi. “Essenzialmente, i principali sono tre”, spiega John Rekenthaler, vice president della ricerca di Morningstar negli Usa. “Primo: gli investitori di fondi non sono bravi nel scegliere i comparti giusti. Secondo: se gli stessi investitori scegliessero la replica passiva, otterrebero dei risultati superiori. Terzo: tra tutte le tipologie di investitore, il fondista è il meno sveglio”. Il problema di tutti i luoghi comuni, è che a forza di ripeterli, diventano convincenti.
Il fondista non è così tonto
La realtà è piuttosto diversa. “Gli investitori sono in verità piuttosto bravi a selezionari i fondi”, afferma Rekenthaler. “La prova può essere trovata facendo un semplice confronto tra il rendimento annuo di categoria ponderato per gli asset detenuti dai vari fondi con lo stesso rendimeno equiponderato”. In pratica, nella media di categoria ponderata per gli asset, i fondi con un patrimonio superiore peseranno di più di quei comparti aventi un patrimonio piccolo. Viene data maggiore importanza, cioè, ai comparti più scelti dagli investitori. Nella media semplice, equiponderata, ogni fondo presente in categoria pesa uguale. “Se la media ponderata per gli asset è superiore a quella aritmetica, allora questa è la prova che gli investitori hanno scelto i fondi più efficienti”.
Nella tabella sottostante, si possono confrontare le due tipologie di rendimenti annualizzati delle categorie di fondi Morningstar presenti negli Stati Uniti. Lo studio si riferisce al mercato americano, ma offre interessanti spunti anche per quello italiano. L’orizzonte temporale preso in considerazione è decennale, dal 2001 al 2011. Come si può notare, le performance annualizzate ponderate sul patrimonio vincono nella maggior parte dei casi. La verità è che questo risultato non dovrebbe essere una grossa sorpresa. “Come è noto, il denaro degli investitori viene indirizzato nella maggior parte dei casi nei fondi a 4 o 5 stelle”, prosegue Rekenthaler. “Nel complesso, questi fondi hanno spese inferiori alla media e sono emessi da società di gestione che sono più stabili, più di successo, e più investitor-oriented rispetto alla concorrenza, come misurato dal Morningstar Stewardship Rating, che valuta quanto le decisioni dei manager sono in linea con gli interessi degli aderenti”.
Questo smonta anche il luogo comune numero due, oltre al numero uno. Infatti, se gli investitori sono bravi a scegliere i fondi migliori, anche la tesi per cui sarebbe meglio la replica passiva è sopravvalutata. “È vero che nel lungo periodo la maggior parte dei fondi attivi fa peggio del mercato, ma è anche vero che i fondi migliori lo battono”, commenta il ricercatore di Morningstar.
Rendimenti medi annualizzati (2001-2010) per categoria. Fondi disponibili negli Usa
Categoria Morningstar | Rend. Annual. Equiponderato |
Rend. Annual. Ponderato per gli Asset |
Differenza |
Azionari Usa Large Cap Growth | -0,77% | -0,22% | 0,55 |
Azionari Usa Large Cap Blend | 0,78% | 1,17% | 0,39 |
Azionari Usa Large Cap Value | 2,30% | 2,58% | 0,28 |
Azionari Internazionali | 4,74% | 3,85% | -0,89 |
Azionari Mercati Emergenti | 14,47% | 15,72% | 1,25 |
Bilanciati Aggressivi | 3,14% | 2,85% | -0,29 |
Bilanciati Flessibili | 3,12% | 4,20% | 1.08 |
Bilanciati moderati | 3,67% | 4,70% | 1,03 |
Fonte: Morningstar Direct. Dati in dollari Usa.
Il problema non è la scelta, ma la gestione
Fatte queste premesse, bisogna comunque sottolineare che gli investitori di fondi hanno un grosso problema: selezionano bene i comparti, ma li gestiscono molto male. “Se si confrontassero gli stessi rendimenti di categoria senza annualizzarli, ovvero i rendimenti totali sui dieci anni presi in considerazione, il risultato sarebbe molto diverso. In questo caso, le performance equiponderate sarebbero superiori. Questo perchè gli investitori comprano le categorie calde e vendono quelle fredde”. Non a caso, quando il mercato azionariò crollò nel 2002, il fondista medio scappò dai comparti azionari per acquistare fondi a reddito fisso. Una volta che l’equity recuperò terreno, gli investitori tornarono sui loro passi e il risultato fu che 2006 i flussi in entrata sui fondi azionari americani furono tre volte superiori ai flussi in entrata sui fondi obbligazionari. Il culmine avvenne nel 2008, quando furuno registrati i più alti deflussi della storia dai fondi azionari, giusto prima del rally del 2009 e del 2010. E il discorso non riguarda solo gli investitori privati, ma anche quelli istituzionali.
“Come investitori, questo ci suggerisce di stare alla larga dalle scommesse a breve e di invece concentrarci sulla selezione dei fondi giusti, sulla base dei nostri obiettivi d’investimento”, conclude Rekenthaler. Il “mito del fondista tonto” è dannoso perchè crea un problema che non c’è, quello della selezione, ed evita un problema che invece è reale: gli investitori inseguono le performance e le mode di breve periodo. “Questo è un problema universale che nessuno fino ad oggi ha affrontato seriamente, né i consulenti finanziari, né la comunità accademica, né chi fa informazione finanziaria. È tempo di cambiare”.
*Questo articolo è stato pubblicato su Tuttofondi in data 16 giugno 2012.
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