Non basta un vertice per scacciare l’Orso dall’Europa e, più in generale, dai mercati. Passato “l’effetto annuncio” che dopo la riunione dei leader del Vecchio continente del 28 e 29 giugno ha fatto volare le Borse internazionali, gli operatori si sono messi a studiare i dettagli del piano per uscire dalla crisi elaborato durante la due giorni. E i risultati sono meno incoraggianti di quello che sembrava in un primo momento.
“In particolare il piano da 130 miliardi di euro (pari all’1% del Pil dell’Eurozona) per stimolare la crescita con un mix di aumento della dotazione di capitali della Banca europea per gli investimenti e più efficiente utilizzo dei fondi strutturali è in linea con le attese e non è in grado di cambiare radicalmente la dinamica macroeconomica europea improntata alla recessione almeno ancora per il terzo trimestre”, spiega un documento elaborato dalla Direzione advisory di Banca Intermobiliare (Bim). “Il progresso sul fronte dell’unione bancaria è quello più rilevante, con la scadenza di fine anno per la costituzione di un ente europeo di supervisione (guidato dalla Bce). La sua istituzione darà la possibilità al fondo Esm di iniettare capitali direttamente nel sistema bancario, che è quanto di più simile alla Tarp americana (Troubled Asset Relief Program, il piano con cui gli Usa hanno salvato le loro banche durante la crisi dei Subprime, Ndr) che l’Europa sia stata in grado di produrre finora. Questo implica che il salvataggio del sistema bancario spagnolo sarà dirottato sull’Esm (European Stability Mechanism, il fondo salva-stati europeo, Ndr) e che quello degli istituti irlandesi sarà rivisto”.
Uno scudo debole
Ce n’è anche per la decisione di utilizzare in modo più flessibile i fondi salva Stati per stabilizzare i mercati finanziari e sostenere i Paesi vulnerabili, ma con i fondamentali più solidi (lo scudo anti]spread di Monti). “E’ sicuramente il risultato più debole del meeting, a causa della mancanza di dettagli e soprattutto dal momento che la dotazione di capitale dell’Esm non è stata aumentata”, prosegue il report. “Al netto degli ultimi interventi, i capitali disponibili ammontano a circa 400 miliardi di euro”.
Va detto che sul meccanismo di funzionamento dello scudo alcuni dettagli potrebbero emergere dall’Eurogruppo convocato per il 9 luglio. “Ma senza aumento delle risorse (direttamente o tramite la Bce) vi sono pochi dubbi che il compito di alleviare le future tensioni finanziarie rimane delegato ad una riluttante Banca centrale”, spiegano da Bim.
I rischi di una Germania isolata
Il vertice di settimana scorsa, tuttavia, qualche novità l’ha portata: ha ufficializzato il cambiamento delle dinamiche politiche all’interno dell’Eurozona che erano state delineate dall’elezione alla presidenza della Francia di Francois Hollande. “Ora c’è una Troika formata da Roma, Parigi e Madrid in grado di costringere Berlino ad ammorbidire le sue posizioni per quanto riguarda le richieste di austerità fiscale agli altri paesi”, spiega Fred Copper, Senior portfolio manager di Columbia Management Investment. “Aver costretto la Germania a fare dei passi indietro è un segnale incoraggiante”.
Resta il fatto che l’economia tedesca è ancora la più forte della regione. Di conseguenza sarà quella che dovrà sborsare di più per far funzionare i sistemi di aiuto. “Fino ad ora lo hanno fatto perché erano in grado di imporre condizioni”, continua Copper. “Ora forse siamo arrivati a un punto di svolta. Berlino, dopo aver perso potere, potrebbe decidere di non tirare più fuori un euro. Del resto, nonostante le concessioni che sono state ottenute, sul tavolo delle trattative non sono arrivati altri soldi. Il comportamento della Germania in futuro sarà la variabile che andrà tenuta sotto controllo”. Il nuovo status tedesco è stato ben evidenziato dal comportamento dei bond governativi quando il vertice si è chiuso. I rendimenti dei Bund a 10 anni sono saliti, mentre gli yield della carta italiana e spagnola sono calati (praticamente invariati quelli dei titoli francesi). In pratica è aumentata la sensazione di pericolo legata ai tedeschi.
“Uno degli elementi che è uscito dal summit è che le condizioni richieste ai prossimi paesi che chiederanno aiuto saranno meno severe di quelle pretese per la concessione di fondi alla Grecia, all’Irlanda e al Portogallo”, spiega uno studio di Komal Sri-Kumar, Global strategist e presidente del comitato di asset allocation di Tcw. “L’Esm potrebbe quindi decidere di dare prestiti in base a criteri ambigui. Se a questo si unisce un aumento del rischio legato alla Germania, ci si rende facilmente conto che la crisi europea può arrivare a un nuovo livello mostrando che non si può risolvere il problema del debito con altro debito”.
Meno rischi per le banche
Tutto male quindi? Non necessariamente. “Il vertice è stato importante perché ha contribuito a rendere più chiara qual è la natura dei problemi dell’Europa e a rendere evidente qual è la visione della politica per risolverli. Gli investitori hanno bisogno di sapere con certezza quali sono le strategie dei governi”, spiega Christian Dargnat, amministratore delegato mondiale di Bnp Paribas Asset Management. “Va anche sottolineato un altro elemento importante: ora gli aiuti alle banche dipendono dall’Ue e non passano più dai singoli stati. Questo significa tagliare quel legame che legava il rating degli istituti di credito a quello delle nazioni. In questo modo si potrà lavorare meglio per arrivare ad un’unione bancaria”. C’è poi da registrare l’intervento di alcuni istituti centrali che hanno deciso di dare una mano alla congiuntura europea e mondiale. La Banca centrale europea ha ridotto il tasso di riferimento dell’Eurozona di 0,25 punti base portandolo allo 0,75% dall’1%. La Bank of England, da parte sua, non ha usato le forbici ma ha incrementato il programma di acquisto di asset (principalmente bond) di 50 miliardi di sterline, portandolo da 325 a 375 miliardi. Cina che, prima che gli altri si muovessero, ha abbassato per la seconda volta nel giro di un mese i tassi di riferimento.
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