La riforma del decreto ministeriale 703/96, che regola i limiti agli investimenti e i conflitti d’interesse per i fondi pensione, è in discussione da circa quattro anni. Il 29 giugno scorso il Dipartimento del Tesoro ha pubblicato la bozza della nuova versione, che resta in attesa di essere approvata.
Le critiche
Le proposte contenute in questa bozza hanno suscitato numerose polemiche, soprattutto per ciò che concerne il profilo di rischio. Ad esempio, il fatto che i fondi pensioni possano investire fino al 20% del proprio patrimonio in fondi hedge o in fondi chiusi e fino al 30% in titoli non quotati, come le obbligazioni bancarie (con conseguente possibile conflitto d’interesse tra la banca e la Sgr di emanazione della banca stessa).
Occorre partire da una domanda fondamentale: qual è la differenza tra l’investimento tradizionale e l’investimento previdenziale? “I fondi pensioni, per loro natura devono rimanere prudenti e questi limiti quantitativi sono a mio parere troppo azzardati. Si pone un problema di rischio”, afferma Fabio Ortolani, presidente Fonchim e responsabile della previdenza complementare dell’Associazione generale cooperative italiane. “È vero che sono i gestori sono comunque chiamati a rispettare il principio della persona prudente, ma se c’è la possibilità di inserire strumenti del genere è ovvio che il rischio aumenta”.
Le critiche hanno riguardato anche la mancanza di trasparenza dei comparti pensionistici. In pratica, è difficile per gli aderenti conoscere esattamente la composizione del loro portafoglio. “Il legislatore dovrebbe sempre mettersi dalla parte del consumatore finale”, prosegue sempre Ortolani. “I risparmiatori dovrebbe essere in grado in ogni momento di sapere dove stanno investendo i loro soldi, e con gli hedge fund o con i derivati, questo diventa difficile”.
Meno critico, invece, l’approccio di Emanuele Marsiglia, direttore generale di BancAssurance Popolari. “I fondi pensione per loro natura sono esposti ad un basso livello di rischio liquidità in virtù delle prestazioni di lungo periodo che sono tenuti ad erogare. Sotto questo profilo le tipologie di investimento citate, in particolar modo i fondi chiusi e obbligazioni bancarie non quotate, non rappresenterebbero una forma di investimento incoerente rispetto al profilo di rischio del fondo. D’altra parte è la stessa nuova disciplina che impone di porre in essere monitoraggi più stringenti, con analisi che dovrebbero consentire una maggiore consapevolezza sulla composizione e qualità degli investimenti con il fine ultimo di tutelare maggiormente gli aderenti”.
Gli aspetti positivi
La nuova disciplina, oltre a stabilire i limiti d’investimento dei comparti pensionistici, chiama le società di gestione a una vera a e propria ristrutturazione. “Questo è un punto molto positivo”, commenta Ortolani, “perché dà la possibilità ai fondi pensione di diventare attori importanti dell’industria del risparmio gestito, anche se ci vorrà comunque una certa gradualità”.
“Credo che gli aspetti positivi siano sostanzialmente due: quello del passaggio da un’impostazione prettamente quantitativa dei limiti (soggetti a rapida obsolescenza nell’attuale contesto di evoluzione dei mercati finanziari) ad un approccio di tipo qualitativo, maggiormente basato sull’identificazione, la misurazione e il controllo dei rischi assunti”, afferma Marsiglia. “Tutti i Fondi Pensione dovranno quindi essere dotati di un modello organizzativo di gestione e di controllo del rischio, essendo ammessi (da parte dell’Autorità di Vigilanza) quegli investimenti che il fondo è in grado di gestire e di controllare. Le attività dovranno quindi essere investite in modo da garantire qualità, sicurezza, liquidità e redditività del portafoglio nel suo complesso e dovranno essere adeguatamente diversificate per evitare un’eccesiva dipendenza da una determinata categoria di attività, ossia al fine di evitare che vi siano concentrazioni del rischio”.
In vigore dal 2014, se tutto va bene
“Nonostante si tratti di un testo ancora modificabile in base alle indicazioni che sono pervenute dai soggetti interessati, la riforma dovrebbe essere ormai prossima all’emanazione, compatibilmente con i tempi tecnici di completamento dell’iter legislativo”, spiega Marsiglia. Il decreto dovrà infatti ora essere trasmesso al Consiglio di Stato per l’espressione del necessario parere, registrato poi alla Corte dei Conti e successivamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale per la sua entrata in vigore. “Al momento attuale, fatte salve eventuali modifiche nel testo definitivo, è previsto che i fondi pensione si adeguino alle disposizioni entro 18 mesi dall’entrata in vigore. Orientativamente dunque le nuove disposizioni dovranno essere attuate dai fondi pensione non prima della fine del 2014. La previsione di un ampio periodo transitorio favorirà la dovuta gradualità al passaggio alla nuova disciplina che, d’altra parte, è attesa ormai da molti anni”.
“Ora che la consultazione è finita, la palla passa al Dipartimento del Tesoro e al Ministero del Lavoro. L’approvazione potrebbe arrivare già a settembre, anche se l’esperienza ci suggerisce di non lanciarsi in previsioni visto che ogni volta che si annuncia il rinnovo della disciplina, succede qualcosa per cui viene rinviata”, conclude Ortolani.
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.