Con l'austerità si perde. Anche se non si usa

Tagliare i costi non basta per ritrovare la crescita. Ma non farlo rischia di peggiorare la crisi. Servono nuovi strumenti.

Marco Caprotti 02/08/2012 | 13:25
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Questione insidiosa quella dell’austerità. Se la si usa si rischia di frenare la crescita di un paese o di un’intera regione che cercano di uscire da una crisi. Se non la si utilizza si corre il rischio di far peggiorare la situazione. Nel caso dell’Europa la trappola è resa ancora più pericolosa da uno scenario formato da scarsa crescita demografica unita a un sistema previdenziale che si deve occupare di un numero sempre maggiore di anziani. Questo significa che, in assenza di grandi riforme della spesa pubblica, il debito statale non può fare altro che crescere.

Un esempio di come sia infido il terreno quando si parla di austerity lo stanno fornendo diversi stati europei (dalla Grecia all’Italia passando per Spagna e Portogallo). Il più recente ed esemplare e, forse, meno considerato è però quello dell’Inghilterra. Londra ha appena comunicato risultati trimestrali deludenti. Nel periodo aprile-giugno 2012 il Pil ha segnato -0,7% (annualizzato diventa -2,8%) contro un’attesa degli economisti di -0,2%. Si tratta del quarto trimestre negativo su cinque e del peggior risultato degli ultimi tre anni. Certo, ci sono state delle circostanze attenuanti come i costi per i festeggiamenti per il Giubileo di Diamante della Regina e le cattive condizioni del tempo, ma il risultato è stato comunque un brutto colpo.

Le armi convenzionali…
L’approccio tradizionale a una situazione di questo tipo prevede di prendere dei soldi a prestito (tipicamente tramite l’emissione di obbligazioni) e spenderli. In pratica si tratta di mettere un’ipoteca sull’andamento futuro (visto che i denari prima o poi vanno restituiti) con l’obiettivo di avere una crescita più regolare nel corso del tempo. Questa strategia, tuttavia, dall’eccezione si è trasformata nella regola, soprattutto nelle zone del mondo più sviluppate, con i risultati di accumulare un debito sempre maggiore e di dover creare nuove passività per poter assicurare lo stesso livello di crescita precedente. Ma si arriva a un punto – e l’Europa lo ha dimostrato bene – in cui la capacità di ottenere soldi viene meno e in cui l’ipoteca sul futuro deve essere ripagata. Per quanto riguarda l’Inghilterra, le proiezioni più recenti del Fondo monetario internazionale mostrano che il rapporto fra debito e Pil dovrebbe passare dall’84% del 2011 al 90% alla fine di quest’anno per poi salire al 96% nel 2015. Recenti studi, fra cui quelli degli economisti Carmen Reinhart e Ken Rogoff, hanno dimostrato come un debito statale al di sopra del 90% abbia un impatto deleterio sulla crescita futura. Un’idea che cozza contro la teoria (o la speranza) che la politica del prestito e della spesa possa rinvigorire la congiuntura permettendo al denominatore (il Pil) di superare il numeratore (il debito) riducendo in questo modo il cosiddetto debt burden (in pratica i soldi per pagare gli interessi).

Ma se questa pratica non funziona, andrà meglio con una politica di minori spese in cui si abbassa il numeratore per cercare di avere il risultato sperato? L’Inghilterra sta facendo proprio questo con una serie di tagli ai costi dello stato da portare avanti fino almeno al 2014. Ma anche qui, gli studi dimostrano che una contrazione delle spese pubbliche provoca una diminuzione della crescita. Cioè quello che è successo nel secondo trimestre del 2012.

…e quelle non convenzionali
Per spingere la crescita non mancano le proposte alternative. “Può essere il tempo di un cambiamento significativo rispetto a quello che si è imparato nei manuali di investimento sperimentando tassi di interesse inferiori a zero”, spiega uno studio firmato da Richard Woolnough, gestore del fondo M&G Optimal Income. “Certo, un investitore razionale avrebbe naturalmente l’alternativa di tenere i propri soldi sotto il materasso e non subire un tasso negativo, anche se l’incentivo ad agire razionalmente sarebbe comunque frenato dagli oneri amministrativi e dal rischio di tenere contanti in casa. Dal punto di vista di una banca centrale questa può essere considerata una misura di stimolo, poiché scoraggerebbe il risparmio e spingerebbe i consumi tanto quanto un taglio tradizionale dei tassi d’interessi”.  

Le scelte operative
“La questione qui è che la crescita non può venire dal nulla, benché i governi continuino evidentemente a spendere somme significative e benché la maggior parte di questi fondi siano stanziati per le infrastrutture”, spiega una nota firmata da Tim Stevenson, gestore del Fondo Henderson Global Investors Pan European Equity. “L’immagine che ci resta delle economie europee è incerta e, qualsiasi cosa accada, questo rimane comunque un periodo di bassa crescita. In uno scenario di questo tipo continuiamo a favorire un investimento, paziente, su aziende che possano diventare parte della soluzione: imprese che supportino altre società nel migliorare l’efficienza”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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