I mercati sembrano girare dentro a un luna park. I rendimenti dei bond spagnoli (e non solo di quelli) viaggiano su e giù, i soldi entrano ed escono dagli asset considerati più sicuri e i titoli azionari continuano a muoversi in alto e in basso. Le forze che agiscono dietro questi movimenti sono note e dipendono in larga parte dalla percezione che gli operatori hanno della capacità dell’Europa di uscire dalla crisi del debito. E finché le istituzioni non saranno in grado di convincere una volta per tutte che la situazione è sotto controllo la volatilità non si fermerà.
Il problema che settimana scorsa ha tenuto svegli gli investitori è quello della Spagna, alle prese con il debito regionale, con la questione del salvataggio delle banche e con i dubbi legati alla crescita economica. Tutti elementi che hanno mandato i rendimenti dei Bonos decennali sopra la soglia del 7%. Un andamento allarmante lo hanno avuto anche le obbligazioni a breve scadenza. E, come sottolinea l’analista obbligazionario di Morningstar Dave Sekera, questo indica che il mercato inizia a pensare seriamente a un possibile default della Spagna. Con i costi di finanziamento del debito in rialzo, Madrid potrebbe trovarsi in una situazione difficile, con un peggioramento della situazione del paese che manderebbe i rendimenti ancora più in alto. In mezzo a tutto questo, il numero uno della Banca centrale Mario Draghi ha detto che l’istituto monetario è pronto a fare tutto il necessario per mantenere unita la regione. Dello stesso tenore è stata la dichiarazione congiunta del cancelliere tedesco Angela Merkel e del presidente Francese Francois Hollande. I transalpini, poi, hanno stretto un patto di ferro anche con il governo italiano guidato da Mario Monti. Gli investitori a questo punto sperano che le dichiarazioni di intenti si trasformino in un vero piano di acquisti obbligazionari guidati dalla Bce. Questo permetterebbe di mantenere gli yield dei bond dei paesi periferici a livelli accettabili mentre verranno portate avanti le riforme strutturali richieste da più parti.
Più fatti, meno parole
Non è la prima volta che il mercato applaude a quelle che vengono interpretate come svolte nella strada per la soluzione della crisi. E’ successo, ad esempio, con le elezioni in Grecia che, dopo due chiamate alle urne, hanno visto prevalere una coalizione favorevole all’austerità necessaria per ottenere gli aiuti internazionali che hanno evitato ad Atene di andare in default. Non sempre va così bene, come dimostra anche la cronaca di questi giorni. Poche settimane fa ci sono state scene di giubilo quando è emersa la possibilità di utilizzare i fondi salva stati per salvare le banche senza andare a pesare ulteriormente sui conti dei paesi più in difficoltà. Un’opzione che, tuttavia, con il passare dei giorni è sembrata sempre più lontana. Anche perché non c’è un’idea comune su come quei soldi dovrebbero essere distribuiti e chi ne controllerebbe l’utilizzo. Senza contare che la Germania ogni giorno trova un pretesto in più per mettersi di traverso al provvedimento. Tutti elementi di incertezza che hanno fatto storcere il naso (di nuovo) agli investitori spingendoli ad alleggerire i portafogli.
Va detto che non c’è nessun motivo per credere che la Bce non interverrà nel breve termine. Tutti si aspettavano un taglio dei tassi all’indomani del vertice Ue di fine giugno per dare una spinta in più all’economia e così è stato. Ma bisogna sottolineare che, fino ad oggi – e nella maggior parte dei casi – si sono sentite molte parole mentre di azione se ne è vista poca. Gli elementi di incertezza, invece, sono parecchi. L’annuncio di Draghi è stato coraggioso, ma il banchiere sarà in grado di convincere la politica ad appoggiarlo seriamente? La Bce sarà in grado di mantenere i rendimenti dei bond al di sotto della soglia del 7%? Quali elementi potrebbero costringere l’istituto a recedere dai suoi impegni? Cosa accadrebbe se i politici –in Grecia, in Spagna o altrove – non cooperassero con Bce. Non c’è una soluzione semplice a questi dubbi e, probabilmente, nemmeno l’istituto centrale saprebbe esattamente cosa fare. Si può solo sperare che le sue iniziative abbiano successo, ma l’esperienza dimostra che, spesso, le attese vengono tradite.
Questo evidenzia un problema pressante nella costruzione di una strategia per uscire dalla crisi: la differenza fra quello che le istituzioni dicono e quello che fanno. In altre parole: c’è una questione di credibilità che va affrontata al più presto. Per anni ormai la politica ha detto che avrebbe fatto di tutto per risolvere la questione del debito e far tornare la regione sulla strada della crescita. Poco, però, è stato fatto. I mercati, invece, hanno bisogno di vedere che le buone intenzioni sono in grado di trasformarsi in fatti concreti. Non esiste la formula magica in grado di risolvere la crisi così come non c’è un singolo provvedimento che possa cancellare la questione del debito. Se tutto va bene si parlerà di queste cose ancora per anni. Ma se i leader europei saranno in grado di agire in maniera più decisa e di mantenere le loro promesse, almeno ci sarà unna riduzione della volatilità e la strada verso la normalità diventerebbe meno accidentata.
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.