A quasi un anno e mezzo dallo tsunami che ha devastato le coste giapponesi, provocando il guasto alla centrale nucleare di Fukushima, la Borsa di Tokyo sembra essere sulla strada della ripresa. L’indice Msci della regione è balzato del 5,7% negli ultimi 12 mesi (dati in euro all’11 settembre).
Un mercato dimenticato
Ciò nonostante, il mercato nipponico sembra ormai esser stato messo da parte dai grandi investitori mondiali. “Basta pensare che perfino gli analisti delle banche d’affari hanno di fatto abbandonato il listino di Tokyo, la metà dei titoli dell’indice Topix non viene nemmeno seguito o analizzato”, afferma Sam Perry, gestore dei fondi Pictet Japanese Equity Selection e Pictet Japanese Equity Opportunities. “Di conseguenza, i progressi delle aziende giapponesi vengono ignorati”.
Le ragioni sono molteplici e hanno radici profonde nella storia recente. Dallo scoppio della bolla bancaria dei primi anni ’90, il Giappone si ritrova impantanato in un contesto di deflazione e di bassa crescita, che le politiche monetarie hanno cercato di combattere invano. Inoltre, come se un’eredità di questo tipo non bastasse, le recenti catastrofi naturali hanno messo a dura prova l’economia del paese e hanno provocato enormi perdite al settore industriale.
In più, i fonadamentali giapponesi sono lontani dall’essere favorevoli. Nel breve termine, l’economia è fortemente influenzata dalla crisi del debito sovrano in Europa e dal rallentamento mondiale, cinese in primo luogo, che si riflette sulle esportazioni, già in sofferenza per l’apprezzamento dello yen.
Valutazioni mai così basse
In uno scenario del genere, gli investitori globali stanno alla larga da un mercato che negli ultimi vent’anni non ha regalato grosse gioie. Eppure, qualcosa sembra essere cambiato.
“Le valutazioni delle società giapponesi non sono mai state così attraenti”, commenta Perry. “Negli ultimi 40 anni, ci sono stati solo tre giorni in cui il Price-to-book ratio medio (in pratica il rapporto tra il prezzo di mercato di un’azione e il suo valore contabile) è stato ai livelli attuali, pari allo 0,8”. Inoltre, la reddittività degli azionisti è in aumento. Secondo i dati di Pictet, il rendimento da divendendo attuale delle azioni giapponesi è del 2,6%, molto superiore a quello delle azioni americane.
Un settore bancario sano
“Il settore bancario giapponese è davvero molto diverso rispetto a dieci anni fa”, prosegue il Sam Perry. “Dopo numerose iniezioni di capitale, fusioni, nazionalizzazioni e pulitura forzata dai troppi debiti, le banche nipponiche si trovano con bilanci forti, un bassissimo tasso d’indebitamento e con un’enorme disponibilità di liquidità, derivante principalmente dai depositi”. Questa disponibilità sta cominciando a venir utilizzata per fornire credito alle imprese e per comprare asset sui mercati mondiali, rimpiazzando così le banche occidentali che non hanno più i mezzi per farlo.
Deflazione addio?
La Banca centrale del Giappone (BoJ) ha aggiornato le stime sulla crescita del Pil al 2,3% per l’anno in corso (le precedenti stime prevedevano una crescita del 2%). Una buona parte del merito di questi ritocchi in positivo è dovuto alla manovra pluriennale di stimolo per la ricostruzione delle aree colpite dallo tsunami lo scorso anno, che secondo il governo avranno i maggiori effetti nel corso del 2013.
“Il ritorno alla crescita economica e il programma di ricostruzione che ancora non ha generato i propri effetti positivi, ci spingono a pensare che finalmente, dopo diverse false partenze, il Giappone è sul punto di uscire dalla deflazione”, afferma il gestore di Pictet.
Leader tecnologico
Infine, non bisogna dimenticare che le aziende giapponesi restano leader in alcuni settori, soprattutto in quello tecnologico. “Gli investitori hanno la percezione che le società nipponiche non siano più competitive, ma Sony e Sharp non rappresentano certo l’intero mercato”, conclude Perry. “Nel nostro portafoglio abbiamo aziende in cui crediamo molto, come Murata, che produce componenti per gli smartphone, e Nippon Ceramic, azienda innovativa nel settore dell’efficienza energetica”.
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