Chi ha puntato sui dividendi Usa non rischia di finire nel precipizio. Una buona notizia per gli operatori che guardano con preoccupazione al 2013, quando scatterà il cosiddetto Fiscal cliff, (in italiano il precipizio fiscale). Si tratta della pericolosa combinazione fra i tagli alla spesa pubblica (che scatteranno automaticamente se non sarà affrontata la questione del debito Usa) e la fine degli sgravi fiscali inaugurato da George W. Bush per dare una mano agli investimenti.
“Dei provvedimenti approvati nel 2003 dall’ultimo ex inquilino della Casa bianca, per dare una spinta agli investimenti finanziari, una parte riguarda proprio i rendimenti da cedole azionare che potrebbero essere equiparate a una normale fonte di reddito e la cui tassazione potrebbe salire dal 15% attuale fino al 39,6% (a seconda degli scaglioni di reddito, Ndr) a partire dal primo gennaio 2013”, spiega Gaston Ceron, analista di Morningstar. “A questa percentuale potrebbe essere aggiunto un ulteriore 3,8% di una tassa per finanziare il programma sanitario lanciato dall’amministrazione Obama”.
Chi è sull’orlo del burrone
La scadenza dell’anno prossimo interessa una larga fetta di investitori, anche da questa parte del mondo: quelli che con le crisi hanno impostato le loro strategie sui titoli ad alto dividendo (fra i quali i più gettonati sono quelli Usa); quelli che hanno in portafoglio fondi specializzati in grandi aziende multinazionali; quelli che hanno in tasca azioni di grandi gruppi tecnologici che si stanno trasformando in una nuova forma di investimento value (per un approfondimento clicca qui).
Senza contare tutti quelli che hanno strumenti concentrati sugli Stati Uniti e che sono preoccupati per tutto il Fiscal cliff e non solo per la parte riguardante le tasse. Il Congressional Budget Office (Cbo), la potente commissione bipartisan che valuta il bilancio Usa, il 22 agosto ha rivisto al ribasso le sue stime e ora prevede un calo dello 0,5% del Pil nel 2013, se non ci sarà un cambio di rotta nella questione del debito. La precedente stima era di un Pil in rialzo dello 0,5%. Inoltre il Cbo stima un aumento del deficit Usa a 1.037 miliardi di dollari nel 2013 contro i 981 milioni di dollari precedentemente previsti.
Per chi ha puntato sulle cedole, tutto dipenderà dalla volontà o meno del Congresso di portare il trattamento fiscale agevolato oltre la scadenza prevista. “A quel punto - e a prescindere dall’amministrazione in carica - si potrà procedere a una più generale revisione del sistema delle tasse sui guadagni realizzati con strumenti finanziari”, continua Ceron. La questione ruota attorno al modo con cui vengono considerati dai legislatori i dividendi e, per esempio, i guadagni in conto capitale (le plusvalenze o, in inglese, i capital gain). Tutti e due partono da un elemento comune: i profitti realizzati dall’azienda. I primi sono sempre stati considerati una normale fonte di reddito e spesso hanno avuto una forte tassazione (negli anni ’60 è arrivata anche al 91%). I secondi, invece, hanno avuto un trattamento agevolato (massimo il 25%). Poi sono arrivati i provvedimenti di Bush che hanno equiparato, dal punto di vista fiscale, i trattamenti abbassando le imposte. Quello che fa ben sperare gli operatori è che l’ultima impostazione è stata confermata anche nel 2008 e nel 2010 da diversi Presidenti e Congressi.
Contano le prospettive, non le tasse
Ma quando si ha a che fare con società che distribuiscono dividendi sono comunque altri elementi più operativi da considerare. “Prima di tutto bisogna tenere conto dei costi che una tassazione più alta avrebbe in relazione al nostro reddito, non a quello di chi guadagna di più”, spiega uno studio della società di consulenza Advice IQ che ha fatto una simulazione immaginando di applicare i costi derivanti dal Fiscal cliff a un gruppo di azioni che danno buoni rendimenti da dividendi in un periodo di un anno (dal 31 luglio 2011). “Un aumento delle imposte sui dividendi avrebbe un impatto minimo sia che il calcolo venga fatto su un orizzonte temporale di un giorno, di una settimana o di un anno”.
Quello che agli investitori deve importare, quindi, sono le prospettive della società emittente, messe in relazione con la situazione economica. “Il Fiscal Cliff deve essere esaminato sotto la stessa luce in cui si mettono altri elementi come la possibilità di una divisione dell’Europa, una frenata della Cina o un attacco all’Iran”, continua lo studio. “Tutti elementi che, da soli, rallenterebbero la crescita globale e danneggerebbero le prospettive delle azioni ma che vanno inseriti in un contesto molto più variegato”.
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