La riforma della tassazione delle rendite finanziarie operata dal DL 138/2011 prevede una netta separazione tra il regime fiscale dei titoli pubblici e quello dei titoli privati. Questa differenziazione, che - nonostante ciò non sia esplicitato nelle Relazioni al decreto legge - appare con tutta evidenza finalizzata a incentivare il collocamento dei titoli pubblici in un contesto di crisi del debito degli Stati nazionali, si estende a tutte le componenti reddituali che si originano dal loro possesso: sia i redditi di capitale (di fatto, gli interessi su tali titoli), sia i redditi diversi di natura finanziaria (i differenziali che emergono a seguito della negoziazione dei titoli medesimi) manterranno quindi l’attuale livello impositivo (12,50%) e non saranno interessati dall’innalzamento al 20% dell’aliquota delle ritenute e delle imposte sostitutive previsto per le altre tipologie di attività finanziarie.
Nel dettaglio, l’intervento del Legislatore ha ad oggetto, in primis, i titoli di Stato italiani e i titoli equiparati ai sensi dell’art. 31 del Dpr 601/73 (titoli emessi da Regioni, Comuni ecc.; obbligazioni emesse da enti sovranazionali quali Bei, Birs, Banca Mondiale ecc.); i soggetti “nettisti” (persone fisiche non imprenditori, società semplici, enti non commerciali e soggetti esenti da Ires) continueranno pertanto ad essere incisi nella misura del 12,50% sui proventi di tali titoli. Per evitare evidenti problemi in sede comunitaria relativamente a possibili violazioni della libertà di circolazione dei capitali, il medesimo trattamento è stato esteso agli interessi dei titoli di Stato esteri, purché lo Stato emittente sia ricompreso nella white list di cui al DM 4 settembre 1996; ciò varrà indipendentemente dalla scadenza del titolo, mentre nell’attuale regime è prevista la penalizzazione dei titoli con scadenza inferiore ai 18 mesi, per i quali l’imposta sostitutiva è applicata con l’aliquota del 27% (art. 2, comma 1-ter, del DLgs. 239/96, abrogato proprio dal DL 138/2011). Tutt’altra sorte toccherà, invece, alle obbligazioni emesse da soggetti privati. Sia per gli interessi sui titoli dei "grandi emittenti" (banche e società quotate), sia per quelli su titoli di società diverse dai grandi emittenti, è infatti previsto l’innalzamento al 20% rispettivamente dell’imposta sostitutiva di cui all’art. 1 del DLgs. 239/96 e della ritenuta di cui all’art. 26 del DPR 600/73 (le quali incidono in maniera “secca” sulle persone fisiche non imprenditori, decurtando alla fonte il provento effettivamente percepito).
Quanto alla decorrenza delle modifiche, mentre per gli interessi delle obbligazioni delle società non quotate vale il criterio generale per cui l’incremento di tassazione riguarda i proventi divenuti esigibili dal 1° gennaio 2012 (per cui la cedola del prestito che scade proprio il 1° gennaio sarà interamente assoggettata al prelievo nella misura del 20%), per gli interessi delle obbligazioni dei grandi emittenti vale il criterio di maturazione (per cui la cedola che scade il 1° gennaio sconterà ancora il 12,50%).
Aliquota del 20% per "grandi emittenti" e società non quotate
Il cambio di regime più significativo è, naturalmente, quello che riguarda le società non quotate, in quanto la nuova aliquota unica del 20% manda in soffitta lo storico regime caratterizzato dalle due aliquote del 12,50% e del 27%, che hanno operato sino a fine 2011 in ragione della durata del prestito e del tasso praticato (in particolare, il prelievo ordinario del 12,50% è previsto solo se la scadenza del titolo è almeno pari a 18 mesi e il tasso di rendimento effettivo al momento dell’emissione non eccede il tasso Bce aumentato di due terzi, ovvero il doppio del tasso Bce se le obbligazioni sono quotate).
Il fatto che, per gli interessi esigibili dal 1° gennaio 2012, non c’è più una ritenuta maggiorata se il tasso di rendimento del prestito obbligazionario eccede i tassi soglia (tutte le cedole scontano, infatti, il 20%, indipendentemente dalla durata e dal tasso) non significa però che le manovre sui tassi potranno essere "indolori": rimane, infatti, in vigore la regola per cui la quota di interessi passivi che eccede i tassi soglia (tipicamente, il tasso Bce maggiorato di due terzi) è indeducibile in capo all’emittente. Nel caso, ad esempio, di un prestito con un tasso di rendimento pari al 10%, a fronte di un tasso soglia del 2,5%, nel nuovo regime rimane la penalizzazione in capo alla società, mentre i soci beneficeranno dell’aliquota ordinaria d’imposta del 20% sugli interessi incassati.
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