È un vecchio detto anglosassone: Buy what you know. In sostanza, è il consiglio di investire in aziende che si conoscono, magari di cui si è clienti o addirittura dipendenti. La realtà è che questa strategia può rivelarsi pericolosa, se non viene applicata correttamente.
Un mostro sacro del mondo degli investimenti come Warren Buffet, ha spesso sostenuto che è sempre meglio investire in business di cui si comprende il funzionamento e di cui si conoscono le caratteristiche. “Questo, però, presuppone un approccio sofisticato”, commenta David Zuckerman, responsabile degli investimenti per Zuckerman Capital Management, in una recente nota. “Infatti, lanciarsi trasportare dell’entusiasmo si rivela spesso rischioso e a volte dannoso”.
Cosa significa comprendere un business?
Alcune attività economiche si capiscono in modo più intuitivo di altre, ma in ogni caso la familiarità non dovrebbe mai essere un sostituto della due diligence. Ciò che separa spesso i professionisti dagli investitori privati sono l’attenzione ai dettagli e il focus sulla valutazione. “Molti investitori non riescono ad apprezzare il controllo e l’analisi accurata che i professionisti di successo mettono in pratica per capire un business”, prosegue Zuckerman.
Si consideri ad esempio un investitore che acquista azioni della Sony perché è contento della propria televisione al plasma, ignorando così alcuni importanti rischi associati all’attività della società, come ad esempio i costi del lavoro elevati. Nel corso degli ultimi 12 mesi (da settembre 2011 a settembre 2012), Sony ha perso quasi metà del suo valore in Borsa.
“Peter Lynch, ex gestore del Fidelity Magellan Fund, ha registrato uno dei track record migliori della storia dei fondi comuni. Lynch sosteneva la forza del power of common knowledge e acquistava aziende che producevano beni e servizi a lui familiari”, si legge nella nota. “Tuttavia, Lynch non ha generato quei rendimenti impressionanti semplicemente acquistando azioni di aziende di cui era cliente, ma analizzando meticolosamente i fondamentali finanziari ed economici di quelle società, in modo da sapere il più possibile sulle loro valutazioni reali”.
La familiarità è il punto di partenza
Ecco perchè il power of common knowledge, ovvero la familiarità con un prodotto, dovrebbe rappresentare solo il punto di partenza e non come sostituto di un’analisi più approfondita. Se la familiarità conduce a una società che, dopo un’analisi seria, sembra essere ben gestita, presenta vantaggi competitivi sostenibili e una valutazione favorevole, si può seriamente prendere in considerazione l’acquisto del titolo. Ma comprare azioni di una società come la Coca-Cola solo perché si consumano bevande gasate non è una buona strategia.
Investire nella propria azienda? Mai più del 10%
Qual è l’azienda che si conosce meglio, con cui si ha più familiarità? Quella per cui si lavora, verrebbe da dire. Non a caso, molte persone pensano che investire nella propria società sia molto sensato, in quanto la si conosce molto bene.
“In realtà, acquistare azioni della propria azienda è azzardato, in quanto diminuisce il grado di diversificazione, aumentando così il rischio”, commenta Zuckerman. “Il proprio datore di lavoro è la fonte del proprio reddito. Se una buona parte del portafoglio è dedicata alla propria azienda, le finanze personali si ritrovano sproporzionatamente dipendenti dal successo di una sola società. Nel caso in cui l’attività della propria azienda prenda una cattiva svolta, si è colpiti dalla sgradevole combinazione di perdite sugli investimenti e perdita del proprio salario o parte di esso”.
Perciò, la maggior parte dei consulenti finanziari consiglia di dedicare all’incirca il 5% del proprio portafoglio alle azioni della propria azienda o comunque in nessun caso superare il 10%.
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