Per gli investitori in asset Usa è meglio che il presidente americano sia un democratico o un repubblicano? La relazione fra l’andamento dei mercati e le elezioni per la Casa Bianca negli ultimi 50 anni è stato uno degli argomenti preferiti fra i commentatori delle cose di Wall Street. Un esercizio al quale gli operatori non si sottraggono neppure questa volta mentre per gli americani si avvicina la chiamata alle urne.
La teoria politica americana dice che, generalmente, i repubblicani combattono l’inflazione e lavorano a favore delle aziende, mentre i democratici sono degli scialacquatori dei denari pubblici e privati. Come tutte le generalizzazioni, si tratta di due assunti troppo semplicistici. Gli studi su questo argomento si sprecano.
Il ciclo presidenziale
La teoria del cosiddetto ciclo presidenziale è stata espressa per la prima volta nel The Stock Trader Almanac del 1968 dall’economista Yale Hirsch. Da allora l’argomento è stato sviscerato sotto ogni possibile aspetto. Gli studi hanno dimostrato che, storicamente, l’equity Usa va meglio negli ultimi due anni di un’amministrazione presidenziale, repubblicana o democratica che sia. Il terzo anno, nella maggior parte dei casi, è quello migliore in assoluto. I motivi, secondo le analisi, sono legati a cause fiscali e di politica monetaria. In base alla teoria del ciclo presidenziale le misure negative per le famiglie e le imprese vengono adottate all’inizio del mandato nella speranza, dicono i maligni, che col tempo questo atteggiamento venga dimenticato. Quando si avvicina la scadenza della carica vengono invece rimandate le misure più impopolari. Oppure l’inquilino della Casa bianca usa la sua influenza per fare in modo che la Federal Reserve adotti una politica monetaria più espansiva (che di solito si associa a una crescita economica e a una diminuzione del livello di disoccupazione).
“Che questo sia vero o no, è un fatto che molto spesso la Fed ha adottato un atteggiamento accomodante durante il terzo anno del mandato presidenziale”, spiega uno studio di Janus. “Un altro elemento incontrovertibile è che nella maggior parte dei cicli presidenziali degli ultimi 50 anni i rendimenti peggiori per le azioni raccolte nell’indice S&P 500 si sono registrati nel primo e nel secondo anno”. Il discorso non vale invece per il reddito fisso. “Il mercato obbligazionario non ha un sentiero di quattro anni che segue quello del ciclo presidenziale”, dice lo studio. “In questo caso hanno la precedenza altri fattori, come le pressioni inflazionistiche, che hanno un atteggiamento bipartisan”. In generale, quindi, il mercato sembra essere apolitico.
Blue chip repubblicane, small democratiche
Le cose cambiano, invece, se si ragiona in termini di capitalizzazioni. Secondo uno studio di Ibbotson Associates (gruppo Morningstar) dal 1961 al 2011 sotto la guida dei repubblicani sono andate meglio le blue chip mentre con le amministrazioni democratiche hanno corso di più le small cap. Questo grazie ai maggiori livelli di spesa pubblica che tendono a beneficiare le imprese di minore dimensione. A questo punto potrebbe sembrare naturale appesantire il portafoglio con azioni di piccole società se Barack Obama dovesse essere rieletto o aggiungere blue chip se alla Casa bianca dovesse andare Mitt Romney.
“Non si può basare la propria strategia di investimento prendendo per oro colato la teoria del ciclo presidenziale”, dicono da Janus. “Bisogna innanzitutto capire in che modo una decisione in un senso o nell’altro cambierebbe il profilo di rischio del nostro portafoglio. Gli studi fin qui fatti sui presidenti e i rendimenti, ad esempio, non hanno mai preso in considerazione i livelli di volatilità senza contare che, in alcuni occasioni, ci sono stati presidenti di un partito e congressi in mano all’opposizione. E questo ha condizionato le politiche economiche della Casa bianca. In generale, quindi, un investitore di lungo termine deve avere un atteggiamento bipartisan e orientarsi su un portafoglio ben diversificato”.
L'articolo è stato pubblicato sull'ultimo numero di Tutto Fondi
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