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La Spagna gioca col default

Il mercato scommette che il paese chiederà aiuto all'Ue. Ma la richiesta potrebbe arrivare troppo tardi. E l'Europa avrebbe le sue responsabilità.  

Marco Caprotti 18/10/2012 | 16:12
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La Spagna deve sbrigarsi a chiedere aiuto. Ritardare il lancio dell’SOS, dicono gli operatori potrebbe portare a un default che innescherebbe una reazione a catena nel resto del Vecchio continente che avrebbe effetti pesanti anche sulla congiuntura globale. Ma, a differenza della Grecia, Madrid non sembra avere nessuna intenzione schiacciare quel pulsante d’emergenza che le permetterebbe di accedere ai fondi dell’Unione europea e all’intervento di acquisto dei bond governativi (i Bonos) per rifinanziarsi più facilmente.

A un passo dal default
Madrid ripete di non avere bisogno di aiuto. In realtà ha paura che un piano anti-deficit comprometta definitivamente una congiuntura già molto debole. Secondo gli ultimi dati elaborati dal Fondo monetario internazionale, nel 2012 e nel 2013 il Pil iberico registrerà una contrazione, rispettivamente dell’1,5% e dell’1,3%. Questo, però, assumendo che tutto vada per il verso giusto e non ci siano shock in arrivo dall’estero (come il default di un altro paese periferico). La disoccupazione sembra stabile intorno al 25%, mentre il comparto immobiliare continua a navigare in cattive acque. In mezzo a tutto questo il governo continua a promettere tagli di bilancio che poi non mette in pratica anche a causa delle minacce di secessione che arrivano dalle diverse regioni che formano il paese.

L’agenzia di rating S&P, intanto, ha portato i titoli spagnoli di debito da Bbb+ a Bbb-, uno scalino sopra la valutazione junk, (spazzatura). L’outlook rimane negativo. La motivazione per la revisione al ribasso va ricercata nell’aumento della pressione a cui è sottoposto il Paese a causa dell’intensificarsi della recessione, che “limita le opzioni politiche del governo spagnolo”, spiega il comunicato che ha accompagnato la decisione. Secondo S&P “l’attuale deterioramento delle condizioni economiche e finanziarie potrebbe aumentare i rischi fiscali nel breve-medio termine, prima che le riforme fiscali a sostegno della crescita siano radicate”. Moody’s, da parte sua, ha confermato che il paese resta, anche se per un pelo, a livello di investment grade.

Il problema delle banche
C’è poi il problema del comparto bancario iberico (che, come altrove, rappresenta il sistema nervoso dell’economia). Secondo gli ultimi dati rilasciati dalla Banca centrale spagnola, i crediti inesigibili a causa di fallimenti ad agosto rappresentavano il 10,5% dei prestiti totali concessi dal sistema creditizio. Si tratta della 17esima crescita mensile consecutiva e di un livello da record rispetto allo 0,72% del dicembre 2006 (subito prima dello scoppio della bolla immobiliare iberica). Il governo si è detto sicuro che le banche del paese sono al sicuro. Gli stress test condotti dalla società di consulenza Oliver Wyman, tuttavia, indicano che il comparto potrebbe scricchiolare se, dal 2012 al 2014 si verificasse una contrazione totale del 6,5%. Uno scenario che, se sono esatti i calcoli dell’Fmi, sembra tutt’altro che improbabile ma al quale la Banca centrale iberica dà una probabilità dell’1% attirandosi le critiche di importanti istituzioni finanziarie straniere come Nomura e Citigroup secondo cui le previsioni di Oliver Wyman, se si considerano le misure che il paese dovrà adottare, sono già realtà. Ai mercati (e agli spagnoli) non piace nemmeno l’atteggiamento bifronte tenuto dal governo che, mentre nega di aver bisogno di aiuto, chiede all’Ue 100 miliardi di euro per salvare le banche.

In mezzo a tutto questo la politica europea temporeggia: per non costringere l’esecutivo spagnolo a interventi impopolari, ma anche per non far irritare i tedeschi che, dopo la Grecia, potrebbero essere stanchi di correre al salvataggio degli stati che non sono in grado di risolvere i loro problemi da soli. Il tutto approfittando del fatto che i rendimenti dei Bonos girano attorno al 5,6% (un livello alto ma tuttavia gestibile) grazie alla possibilità che, in futuro, intervenga la Bce. L’unica cosa certa è che la Spagna ha sempre meno tempo. Quando (e se) Madrid deciderà che è giunto il momento di chiedere aiuto non potrà semplicemente chiamare al telefono la Ue. Ci sono da eseguire tutta una serie di procedure (fra cui il benestare dei diversi paesi dell’Unione) che richiedono tempo e che potrebbero coincidere con situzioni critiche, tipo le elezioni in Germania. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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