“E adesso, signor Presidente?”. La domanda campeggia in cima ai report prodotti dalla maggior parte delle società di investimento americane a poche ore dalla conferma di Barack Obama alla guida degli Stati Uniti. La fotografia scattata dalle urne mostra che non ci sarà nessun cambiamento nella bilancia dei poteri di Whashington: l’inquilino della Casa bianca resta lo stesso; i repubblicani continuano a controllare la Camera dei rappresentanti; i democratici sono la maggioranza in Senato. E ora che la campagna elettorale è finita, gli investitori spostano l’attenzione sulla realtà delle scelte di governo.
Va detto che Wall Street non ha preso benissino la conferma di Obama. Il 7 novembre l’indice Dow Jones Industrial Average ha chiuso in calo del 2,4%, trasformandosi in una delle peggiori giornate di Borsa post-elezioni dal 1900. Colpa dell'approccio del presidente che prevede politiche meno liberiste di quelle del suo rivale. L’elemento curioso è che la giornata più nera in assoluto è stata quella del 4 novembre 2011 (-5%): il giorno seguente alla prima nomina di Obama. Per gli amanti delle statistiche si può aggiungere che le cinque peggiori sedute di Wall Street subito dopo un’elezione si sono avute quando hanno vinto i democratici. Le loro amministrazioni, tuttavia, sono coincise, di solito, con i migliori momenti per l’equity americano.
Ma perché tutta questa attenzione a questo evento politico che, in altri paesi (ad esempio l’Italia) ha poco peso sugli andamenti di Borsa? La prima risposta è nel calendario. Il 2012-2013, dal punto di vista delle elezioni è un periodo eccezionale. Ci saranno più di 100 chiamate alle urne in stati la cui economia (in totale) rappresenta il 60% del Pil globale. Ma non è solo un fatto di crescita economica. Le scelte degli elettori spesso si traducono in cambiamenti politici che possono ridisegnare lo scenario economico di una regione. Le tornate elettorali, inoltre, condizionano l’atteggiamento dei governi in carica e degli investitori. Questi periodi, inoltre, coincidono con i momenti di maggiore insicurezza per gli operatori. Tutti questi elementi, insieme, possono influenzare tutte le classi di investimento (e soprattutto l’equity a causa della sua sensibilità ai mutamenti delle prospettive congiunturali).
Primo problema: il Fiscal cliff
Certo, gli investitori, ormai da qualche anno si stanno abituando alle incertezze e la rielezione di Obama toglie di torno qualche elemento di dubbio. Ma nei prossimi mesi gli operatori che guardano agli Usa (e anche i più avvezzi ai momenti imprevedibili), si troveranno di fronte una serie di situazioni che metteranno a dura prova la loro capacità di resistenza.
Il pericolo maggiore riguarda il fiscal cliff (letteralmente il precipizio fiscale). Si tratta della pericolosa combinazione fra i tagli alla spesa pubblica (che scatteranno automaticamente se non sarà affrontata la questione del debito Usa) e la fine degli sgravi fiscali lanciati da George W. Bush (ed estesi da Obama) per dare una mano agli investimenti. “Avere in carica la stessa amministrazione degli ultimi quattro anni indica che la politica degli sgravi sulle rendite finanziarie non continuerà (il punto era nel programma del candidato repubblicano Mitt Romney, Ndr). Bisognerà vedere se e come maggioranza e opposizione arriveranno a un accordo”, spiega uno studio di Baird & Co. Incorporated. Gli scenari possibili, per quanto riguarda le tasse sui capital gain, sono essenzialmente tre: Primo: Obama riesce a convincere l’opposizione della bontà della sua proposta: imposte su rendite finanziarie solo per le persone sposate con un reddito superiore a 250mila dollari l’anno (o single che ne guadagnano più di 200mila). Secondo: democratici e repubblicani riescono ad arrivare a un compromesso che tenga in conto le idee che sulla questione hanno Obama e di Romney. Terzo: non si arriva a nessun accordo e gli sgravi fiscali cesseranno per tutti.
Non tutto il fiscal cliff, però, viene per nuocere. “Cadere nel precipizio farebbe sicuramente contrarre l’economia, ma rappresenterebbe anche una grande opportunità”, spiega Mark Duggan, professore della Wharton School (la facoltà di economia dell’Università della Pennsylvania). “Costringerà i politici ad affrontare seriamente la questione fiscale e il suo impatto sull’economia, quella della riduzione della spesa pubblica e, più in generale, quella di un’economia che si basa su un deficit da migliaia di miliardi di dollari”.
Dollaro e Wall Street
Meno incognite presenta il futuro visto dalla Federal Reserve. Il mandato dell’attuale Chairman della Banca centrale Usa, Ben Bernanke, scade nel 2014 e l’interessato ha già fatto sapere di voler tornare a insegnare. Al suo posto Obama dovrebbe nominare l’attuale vicepresidente dell’istituto Janet Yellen che, con ogni probabilità, manterrà la politica dei tassi di interesse bassi almeno fino alla fine del 2015. La strategia potrebbe cambiare soltanto nel caso di una forte e improvvisa impennata dell’inflazione (un’eventualità che non piace a nessun banchiere centrale).
Se questo scenario si realizzerà allora diventerà più semplice cercare di prevedere il futuro del dollaro. Il biglietto verde negli ultimi anni si è indebolito rispetto alle principali valute mondiali (anche se recentemente si è ripreso un po’ contro l’euro). Alla luce della continuità che dovrebbe caratterizzare la Fed, la moneta Usa dovrebbe continuare ad essere meno tonica delle divise dei paesi che registrano una maggiore crescita economica. Ma bisogna fare attenzione, visto che molte banche centrali intervengono spesso sul mercato dei cambi per indebolire la propria moneta (la Bank of Japan ne è un esempio).
Il grande punto interrogativo riguarda il mercato azionario. Da quando Obama si è insediato ufficialmente alla Casa bianca nel 2009, l’indice S&P500 ha guadagnato il 77% (fino al 5 novembre 2012). Quali sono le prospettive ora che ha vinto un altro mandato? “Il presidente non controlla il mercato. Lo fanno i profitti”, spiega Jerry Webman, capo economista di Oppenheimer Funds. “Alcuni investitori possono non vedere di buon occhio la rielezione di Obama, mentre per altri è una buona notizia ma, nel medio e lungo termine, a determinare gli andamenti dei listini sono ‘il come’ e ‘il dove’ le aziende fanno i soldi. Gli operatori dovrebbero restare concentrati sulle capacità delle aziende di generare profitti in rapporto agli scenari con cui hanno a che fare”.
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