Cina e India provano a non deludere gli investitori che credono nell’Asia. L’indice Msci della regione nell’ultimo mese (fino al 9 novembre e calcolato in euro) ha guadagnato l’1,4%, portando a +17,8% la performance da inizio anno. Il merito, in buona parte, va ad alcuni risultati raggiunti dai due paesi-traino dell’area che hanno eliminato qualche nube.
La Cina in chiaroscuro
La produzione industriale della Cina è cresciuta in ottobre del 9,6% su base annua, in accelerazione rispetto al +9,2% di settembre. Il dato dell’ufficio nazionale di statistica è migliore del rialzo del 9,4% atteso dal consensus degli analisti. Su base mensile, l’incremento è stato dello 0,81%, contro il +0,79% di settembre. L’indice dei prezzi al consumo ha fatto invece registrare in ottobre un rialzo dell’1,7% rispetto a un anno fa, in frenata rispetto al +1,9% di settembre. Le attese degli analisti erano per un incremento su base annua dell’1,9%. Su base mensile l’indice Cpi è calato dello 0,1% dopo essere cresciuto dello 0,3% in settembre rispetto ad agosto. L’indice dei direttori di acquisto nei servizi in Cina, intanto, è sceso in ottobre a 53,5 punti, da 54,3 il mese prima (Markit su dati Hsbc). Una performance sopra 50 punti indica un’espansione dell’attività, mentre al di sotto di questo livello segnala una contrazione. L’andamento di ottobre rivela quindi che il tasso di sviluppo nei servizi è solido, ma in frenata rispetto a settembre.
Nel discorso tenuto in apertura del XXVIII Congresso del Partito comunista cinese, il segretario Hu Jintao ha invocato uno sviluppo “più bilanciato, coordinato e sostenibile” dopo un decennio in cui la Cina è diventata la seconda economia globale, avvertendo tuttavia enormi squilibri interni nella distribuzione della ricchezza. “Entro il 2020 dobbiamo raddoppiare il Pil raggiunto nel 2010 e il Pil pro capite, tanto per i residenti urbani quanto per quelli rurali”, ha detto Hu. Tradotto in numeri, secondo gli analisti si tratta di una crescita annua media intorno al 7%. Jintao anche invocato una riforma per adeguare maggiormente il tasso di cambio dello yuan ai criteri di mercato, senza tuttavia rinunciare al ruolo centrale delle imprese di Stato.
A marzo il premier Wen Jiabao aveva rivisto gli obiettivi sulla crescita per il 2012 portandoli a quota +7,5%, invece del tradizionale +8% che costituiva da anni il traguardo minimo fissato dal governo di Pechino. A giugno la Banca centrale ha abbassato i tassi d’interesse, con una manovra a sorpresa che costituiva il secondo taglio nel giro di un mese e aveva evidenziato i timori dei mercati internazionali sulla reale entità della frenata del Dragone. Molti economisti ritengono che l’economia cinese abbia già toccato i livelli più bassi con gli ultimi dati e che gli effetti positivi delle ultime misure inizieranno a manifestarsi nella seconda metà dell’anno. Ma la decisione del governo di non ritirare le limitazioni imposte al settore immobiliare, confermata alcuni giorni fa dallo stesso Jiabao, spinge molti analisti a sottolineare la necessità di un nuovo piano di stimoli economici.
L’India ci prova
Segnali di cauto ottimismo, intanto, arrivano dall’India, l’altra locomotiva della regione asiatica. Nel terzo trimestre di quest’anno è stato registrato un aumento dei progetti pubblici, dell’attività immobiliare e delle esportazioni. “Ma mentre i dati in arrivo sugli indicatori di crescita hanno mostrato alcuni segni di stabilizzazione, il macro-scenario rimane impegnativo, come è evidenziato dall’inflazione che resta alta, dall’elevato deficit commerciale e dall’alto rapporto fra prestiti e depositi”, spiega uno studio di Morgan Stanley. Non sarà facile per il governo intervenire sul deficit fiscale che, fra aprile e agosto, è salito del 23,4% né gestire la crescita dei salari dei contadini delle zone rurali.
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