Un occhio in casa e l'altro ai vicini

Cosa pensano gli investitori tedeschi della loro economia e delle sue prospettive? E gli spagnoli, gli italiani e dei paesi nordici? Quali sono le opportunità di investimento? Rispondono i giornalisti degli uffici Morningstar sparsi in Europa. 

Holly Cook 15/11/2012 | 15:28
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Quando si tratta di investire a livello internazionale la conoscenza dei mercati locali diventa un elemento chiave per prendere decisioni ragionate. Gli articoli dei giornali possono dare le notizie, ma non è consigliabile impostare delle strategie basandosi sui quotidiani. Per avere una visione precisa sugli eventi locali dell’Europa abbiamo parlato con i giornalisti e gli analisti dei nostri uffici sparsi nel Vecchio continente. Non solo per avere le previsioni sugli sviluppi macro, ma anche per capire quali aspettative hanno gli investitori dei diversi paesi.

La buona notizia
La salute della regione è il risultato della somma di situazioni molto diverse da stato a stato. La Germania, per esempio, è stata a lungo la prima forza economica dell’area, ma anche lei sta soffrendo a causa del clima che si respira in questo periodo. “La Germania viene vista come un porto sicuro dagli investitori in equity e in bond, ma la sua forza, con il passare del tempo si affievolirà”, spiega Ali Masarwah, caporedattore di Morningstar in Germania. “Il governo tedesco, ovviamente, tende ad avere una visione più ottimistica delle cose rispetto agli economisti. Tuttavia, anche le previsioni ufficiali di Berlino ora parlano di una crescita per il 2012 che non supererà lo 0,8%”.

Fino a poco tempo fa l’esecutivo aveva agganciato le sue speranze a un miglioramento dell’1,6% nel 2013, mentre ora si parla di un +1%. “Probabilmente la Germania non sarà risparmiata dalla recessione dell’Eurozona, anche se la situazione è certamente migliore rispetto ad altri paesi della regione”, dice ancora Masarwah. In base ai dati della Commissione europea l’area euro quest’anno registrerà una contrazione dello 0,4% per poi cercare la strada della crescita (+0,1% nel 2013).

Come si comporteranno quindi le aziende tedesche in questa situazione? Le strategie di taglio dei costi hanno avuto gli effetti sperati, ma il rallentamento economico sta comunque pesando sugli utili. “Gli ultimi report dicono che le aziende quotate al Dax registrano un aumento delle vendite ma un calo dei guadagni. Volkswagen, ad esempio, ha visto crescere il fatturato del 27% mentre gli utili sono scesi del 19%. In generale, comunque, le aziende tedesche sono in buona salute, ma resta da capire che effetti avrà sui conti il quadro economico generale. “La Germania dipende molto dalle esportazioni, per cui il futuro prossimo è legato alla situazione congiunturale internazionale del 2013”, continua Masarwah. “I consumi mondiali, tuttavia, stanno mostrando una ripresa mentre la disoccupazione è ai minimi degli ultimi 20 anni. L’insieme di questi due elemnti dovrebbe rendere meno pesante il rallentamento”. Il calo dei guadagni potrebbe far calare le quotazioni azionarie, almeno nell’immediato.

E’ interessante notare, però, come, nonostante la debolezza economica, gli investitori tedeschi stiano diventando sempre più interessati all’equity. Secondo uno studio del Deutsches Aktien-Insitut il numero degli investitori privati che hanno scelto questo tipo di asset, nel primo semestre del 2012 è cresciuto del 25%. “Si tratta di un’inversione di tendenza rispetto agli anni passati in cui i risparmiatori si comportavano come se la fine del mondo fosse imminente”, dice il caporedattore di Morningstar Germany. “Si erano buttati sul monetario, sui bond e sui conti di deposito abbandonando l’azionario”. E’ il segno di un nuovo corso oppure il 2012 è stato solo un anno particolare? E’ difficile da dire, ma Masarwah sottolinea come spesso gli investitori privati sbaglino il momento dell’entrata sui mercati. Per cui stare lontani dall’azionario potrebbe essere una buona idea.

 

... e quelle brutte
“Gli economisti dicono che la Spagna quest’anno e il prossimo soffrirà di una forte recessione”, dice Fernando Luque, responsabile della redazione iberica di Morningstar. “Le stime più ottimistiche – che arrivano dal governo – è che la luce in fondo al tunnel si vedrà solo nel 2014”. La Grecia è ancora nei titoli di apertura dei giornali, ma la Spagna e l’Italia, secondo gli operatori, sono i due punti focali della crisi dell’Eurozona. Il tira e molla sulla possibile richiesta di aiuto da parte di Madrid sarebbe sufficiente a spingere gli investitori a puntare sul default del paese.

Luque, tuttavia, ha una visione diversa. “Il problema non è se la Spagna chiederà aiuto, ma quando. “La mia idea è che il governo aspetterà fino all’ultimo momento utile. Domandare una mano, infatti, significherebbe ammettere un fallimento della politica. E nessun uomo politico lo farebbe mai”. Tuttavia il mercato potrebbe spingere la Spagna ad anticipare i tempi. I meccanismi del credito potrebbero agire sul rapporto fra premio e rischio facendo diventare la richiesta di aiuto inevitabile. Come questa situazione condizionerà le aziende dipende dalle singole situazioni societarie. “In generale le aziende iberiche più grandi hanno bilanci più solidi di quelli statali. E questo non è una sorpresa”, dice Luque. “Queste società hanno già fatto il loro dovere tagliando i costi. Un elemento evidente è l’aumento della disoccupazione. Il grande problema è il blocco del credito ai consumatori, per cui anche le imprese, alla fine, pagheranno la situazione”.

Alcune delle società iberiche più conosciute a livello internazionale, come Telefonica e Santander, hanno il vantaggio di aver diversificato la loro attività nei paesi emergenti. Un salvagente che in futuro gli sarà utile.

In Italia, dove l’Istat prevede una contrazione del Pil del 2,3% (con il rischio di una revisione al ribasso se la congiuntura internazionale dovesse peggiorare), anche il governo fa fatica ad essere ottimista. A differenza di altri paesi, il Ministero del tesoro della Penisola non cerca di indorare la pillola e parla di una contrazione del 2,4%, fa notare Sara Silano, caporedattore di Morningstar Italy. Le aziende tricolori, da quando è scoppiata la crisi finanziaria, sono diventate più prudenti se si tratta di investire e di assumere. Le banche italiane, per esempio, stanno cercando di abbattere i costi e creare riserve di capitale per far fronte alla terza recessione in un decennio e ai costi legati alla situazione dei debiti.

In generale, comunque, i guadagni delle aziende italiane restano deboli, mentre i profitti dei primi cinque istituti finanziari, nel primo semestre dell’anno, secondo Banca d’Italia, sono calati di un terzo. Come in Germania e in Spagna, le società più stabili sono quelle che hanno diversificato le fonti di guadagno. Un calo della domanda dall’estero (Eurozona o mercati emergenti) tuttavia peggiorerebbe anche la loro situazione.

I sottovalutati
Da un punto di vista globale, le economie nordiche sono spesso sottovalutate quando si parla di prospettive e opportunità in Europa. Colpa anche dell’Islanda che ha fatto la sua parte quando si è iniziato a parlare di crisi finanziaria globale. Ma ci sono Danimarca, Norvegia e Svezia che offrono una serie di industrie (dall’energia – anche alternativa – all’elettronica, passando per l’alimentare e le tlc) che sembrano essere rimaste immuni dal calo della domanda registrato altrove.

Vista dall’interno, tuttavia, la situazione è un po’ diversa. “Ultimamente ci sono state una serie di cattive notizie che hanno interessato i paesi nordici”, dice Matias Mottola, caporedattore di Morningstar per la Norvegia e la Finlandia. “Molte grandi aziende hanno annunciato piani di licenziamento e gli indicatori mostrano come i manager e i consumatori abbiano meno fiducia nel futuro”. Molto di questo dipende dal rallentamento globale. “Le aziende di questa regione dipendono molto dalle esportazioni. Non solo dal resto dell’Europa ma - e sempre di più – dall’Asia”, dice Mottola. “Cattive notizie da queste regioni si trasformano in eventi negativi per le società nordiche e in spallate alla fiducia degli investitori”.

Nonostante questo pessimismo, tuttavia, ci sono alcuni elementi positivi. “La crisi finanziaria è stato un forte segnale per le aziende affinché dessero una ripulita ai loro bilanci e oggi sono in salute, anche grazie alla prudenza con cui investono e assumono”.

Investire nelle aziende, non nell’Europa
A prescindere dalle cattive notizie che arrivano quotidianamente l’Europa, sia che si tratti dell’Eurozona, dell’Unione, di chi ne è fuori o dei paesi emergenti offre una grande varietà di sistemi politici, economici, culturali e sociali. Come si è visto ci sono delle somiglianze fra le sfide che i diversi paesi e le loro aziende devono affrontare. Ma in generale, sono silmili a quelli che devono affrontare le società americane o asiatiche. Il problema del debito, magari affligge solo le economie sviluppate, ma il calo della domanda globale colpisce tutti.

Nonostante questo ci sono in giro molte aziende che, nel lungo termine, hanno un buon vantaggio competitivo sulle altre. Certo, alcuni settori hanno più problemi di altri. Gli investitori dovrebbero concentrarsi sulle società che sono più forti nel loro mercato di riferimento, che sono ben diversificate geograficamente (anche sui mercati emergenti) e che, a causa del calo di fiducia da parte degli operatori, hanno valutazioni interessanti. 

L'articolo in versione originale è pubblicato su www.morningstar.com.uk

 

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Holly Cook

Holly Cook  is Manager, Morningstar EMEA Websites

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