Troppi stimoli rischiano di far sballare i mercati. E il pericolo è che le quotazioni degli asset di investimento, soprattutto bond governativi e azioni, non riflettano più la reale forza degli emittenti. A lanciare l’allarme sono gli operatori preoccupati per l’attivismo della Banca centrale europea e della Federal Reserve nel contrastare gli effetti della crisi finanziaria nelle rispettive aree di competenza. Un interventismo che, dicono, fa andare in secondo piano i fondamentali. A questo si unisce il rischio che gli interventi diventino una costante, confermando peraltro uno degli assunti del Nobel per l’economia Milton Friedman secondo cui: “Non c’è niente di così permanente come i programmi governativi temporanei”.
La Bce fa sballare i bond
L’istituto europeo a settembre ha annunciato di voler comprare bond governativi con scadenza da uno a tre anni dei paesi che sono entrati nel programma di aiuti dei fondi salva-stati come il vecchio Efsf (European financial stability facility) o il nuovo Esm (European stability mechanism). I paesi coinvolti, da parte loro, dovranno però imbarcarsi in opere di risanamento che si preannunciano tutt’altro che indolori. Il piano, nominato “Transazioni monetarie dirette” (in inglese Outright monetary transactions, Omt) ha l’obiettivo di contenere il differenziale di rendimento fra le obbligazioni dei paesi a rischio e i Bund, riaprendo agli stati periferici il mercato dei prestiti a breve scadenza. Se il progetto avrà successo, di fatto scardinerà il meccanismo per cui i tassi di breve periodo diventano talmente alti per alcune nazioni da rendere impossibile il rifinanziamento dei bond in scadenza. Una situazione che può portare a pericolosi default.
Questa strategia però presenta delle controindicazioni. Soprattutto per quello che riguarda i rendimenti del reddito fisso. “Gli interventi politici sono stati e continueranno ad essere un elemento importante nel determinare le scelte degli investitori e l’andamento dei mercati”, spiega uno studio firmato da Thomas Higgins, global macro strategist di Standish Mellon Asset Management (gruppo BNY Mellon). “Secondo noi le azioni delle banche centrali e dei legislatori, soprattutto per quando riguarda le decisioni sui bond, prenderanno il posto dei fondamentali economici”. Una strada che, secondo l’operatore, è ben segnalata da quello che sta succedendo nei paesi periferici, dove si sono registrati decisi ribassi dello yield delle obbligazioni governative dopo l’intervento della Bce. “Sono gli stessi stati che continuano a mancare gli obiettivi sulla riduzione del deficit a causa della recessione delle loro economie”, continua Higgins. Un caso esemplare è la Spagna: il piano Omt scatterà solo quando Madrid chiederà aiuto, eppure il rendimento dei Bonos a tre anni è passato dal 7% di agosto a meno del 4% di ottobre. A questo punto, per chi va a caccia obbligazioni ad alto rendimento non resta altro che puntare sul mercato corporate americano o sui governativi dei mercati emergenti.
La Fed droga i più deboli
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, i problemi sono più legati all’azionario. La Federal Reserve, poco dopo l’intervento della Bce, ha annunciato che continuerà l’operazione Twist (cioè l’allungamento della vita media del debito, e continuerà a reinvestire il maturato sui debiti in scadenza) e lascerà i tassi di interesse su livelli eccezionalmente bassi fino ad almeno la metà del 2015, termine spostato più avanti rispetto alla scadenza precedente (fine 2014). “Per sostenere una ripresa economica più vigorosa e aiutare ad assicurare che l’inflazione, nel corso del tempo, si stabilizzi a un livello più coerente con il suo duplice mandato, il Comitato ha deciso di aumentare la sua politica accomodante mediante ulteriori acquisti di cartolarizzazioni di mutui al ritmo di 40 miliardi di dollari al mese”, spiega un comunicato della Banca centrale Usa. Tutto questo va sotto il nome di Quantitavive Easing 3 (Qe3). Ma questa politica, soprattutto nella parte che riguarda i tassi a zero, sta distorcendo le valutazioni di molte azioni. “In una situazione come quella di questi mesi il mercato sta premiando le società maggiormente indebitate che sono si capaci di ristrutturare le loro finanze grazie al basso costo dei prestiti e l’allungamento delle scadenze”, spiega Francis Gannon, gestore di Royce Funds (società americana specializzata nelle small cap). “In pratica, alle aziende di scarsa qualità viene regalato del tempo che non gli sarebbe concesso in altre situazioni”.
l'effetto è che, secondo uno studio Furey Research Partners, le aziende quotate sull’indice Russell 2000 meno indebitate, da inizio anno (e fino alla fine del terzo trimestre) hanno guadagnato il 9,5% contro il +20% fatto segnare da quelle che hanno la leva maggiore.
Il risultato è sconfortante anche se si guarda il paniere da un’altra prospettiva. Il benchmark in tre trimestri ha guadagnato il 14,2%. La metà di questo rendimento lo hanno realizzato i settori che hanno il rendimento medio sul capitale investito più basso (in pratica sono quelle aziende che utilizzano peggio i loro soldi). Anche questo è un effetto involontario del Qe3 che, secondo la Fed, resterà in vigore fino a quando sarà necessario dando un ulteriore opportunità alle aziende meno virtuose per ottenere denaro a basso costo. “Il vantaggio di questa situazione è che le società migliori adesso sono a sconto”, dice Gannon. “E farà comodo averle in portafoglio per far fronte ai periodi di forte volatilità”.
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