A causa di lavori di manutenzione ordinaria la sezione Portfolio del sito non è al momento disponibile. Ci scusiamo per il disagio.

Il vero benchmark sei tu

In uno studio, State Street analizza i limiti degli indici di riferimento classici. Perché l’investitore guarda la performance del suo portafoglio non quella assoluta.

Valerio Baselli 22/11/2012 | 00:06
Facebook Twitter LinkedIn

Le società di gestione dovrebbero in futuro ridefinire il concetto di performance, cucendolo su misura all’investitore e passando da un livello oggettivo a un livello soggettivo. È questa, in sintesi, la principale conclusione di uno studio pubblicato recentemente dal Center for Applied Research di State Street, dal titolo The Influential Investor: How Investor Behavior is Redefining Performance.

Lo studio, che ha cercato di definire le forze che cambieranno l’industria finanziaria nel futuro, si basa su una ricerca condotta per 12 mesi su circa 3.300 persone che lavorano nel settore del risparmio gestito. Il report sottolinea che mentre la performance relativa misurata tramite benchmark classici serve alla società di gestione, la visione dell’investitore è più complessa e riflette la personale miscela di ricerca di alfa, generazione di beta, protezione dai ribassi e gestione degli asset.

La performance assoluta è diversa da quella relativa
In questo contesto, lo studio dimostra come per gli investitori la performance di portafoglio sia lo strumento principale attraveso cui giudicano la propria società di gestione, il che però può anche essere una debolezza. “La nostra analisi rileva che la misurazione di valore deve evolvere da una definizione assoluta a una più personale”, commenta in una nota Suzanne Duncan, responsabile della ricerca al Center for Applied Research di State Street. “Ma siamo ancora molto lontani dall’avere un quadro accademico che definisce le performance come personali”.

In compenso, il report cerca di sviluppare una definizione di performance tarata su misura che si basa su tre componenti: la ricerca di alfa, la gestione delle proprie entrate finanziarie e gestione delle proprie passività (cioè i debiti). Secondo la ricerca, gli investitori sono troppo occupati a controllare l’andamento dei benchmark tradizionali e non modellano le performance relative ai loro bisogni reali.

Insomma, la perfomance assoluta è diversa da quella relativa. In parole povere, lo stesso rendimento ha effetti diversi sui vari investitori. Proviamo a fare un esempio: il signor Rossi ha 60 anni, ha un reddito di 2.000 euro al mese, ha tre figli e non ha ancora finito di pagare il mutuo per la casa. Il signor Verdi, invece, ha 40 anni, ha un reddito di 3.000 euro al mese, non ha figli e la casa l’ha ereditata, quindi non è indebitato. I due hanno investito nello stesso fondo, che dall’inizio dell’anno è in perdita del 5%. Questo risultato avrà effetti molto diversi sul bilancio personale del signor Rossi e su quello del signor Verdi, evidentemente più pesanti per il primo. Stessa performance assoluta, ma diversa performance relativa.

Il futuro dell’industria
Questo cambiamento sarà massiccio, si legge nell’analisi. L’industria del risparmio gestito dovrà adeguarsi, eliminando le complessità e portando le priorità strategiche in linea col concetto di performance personale. Sarà necessario definire una formula per tenere conto degli obiettivi specifici di ogni investitore, allineare le commissioni con il valore che la società di gestione porta al singolo investitore ed essere pienamente trasparenti, in modo che gli investitori possano apprezzare questo processo.

“In questo modo, il benchmark sarà l’investitore stesso”, prosegue Duncan. “Questo cambiamento avrà anche un effetto di razionalizzazione, oggi ci sono troppi strumenti finanziari”. Cambierà anche il concetto di rendimento positivo, sarà tutto tarato in base agli obietti del cliente finale, l’investitore. “Ci saranno diversi rendimenti attesi da parte dei vari investitori, perciò si dovrà misurare la performance del proprio portafoglio sulla base del proprio bilancio personale e non sulla base di un benchmark che vale per tutti”.

Investitori irrazionali
Lo studio ha anche esaminato il comportamento degli investitori (privati e istituzionali) e ha concluso che spesso non agiscono nei propri interessi.

Ad esempio, molti investitori istituzionali ammetteno di trovare difficoltà nella gestione di alcune asset class. La situazione di mercato, li ha infatti portati a perseguire strategie alternative. Tuttavia, la maggior parte di essi riconosce che spesso non ha una conoscenza sufficiente sugli investimenti alternativi e che questo rappresenta il maggior rischio. Quando è stato chiesto, invece, agli investitori privati quali misure devono essere prese nei prossimi dieci anni per costruirsi una pensione, la maggioranza ha risposto che è necessario investire in maniera più aggressiva, eppure, contemporaneamente la componente di liquidità del loro portafoglio è quella cresciuta maggiormente.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

Facebook Twitter LinkedIn

Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

© Copyright 2024 Morningstar, Inc. Tutti i diritti sono riservati.

Termini&Condizioni        Privacy        Cookie Settings        Disclosures