Lo chiamano “l’oro blu” e basta dare uno sguardo ai rendimenti per capirne il motivo. In un mondo in recessione, i quattro fondi interamente dedicati al mercato idrico disponibili in Italia hanno guadagnato tra il 18 e il 22% negli ultimi 12 mesi (dati in euro al 23 novembre). Nello specifico, si tratta di Pictet Water (+18,2%), SAM Sustainable Water (+20,2%), Amundi Equity Global Aqua (+21%) e Sarasin Sustainable Water (+21,7%). Stesso discorso vale per gli Exchange traded fund quotati a Piazza Affari: iShares S&P Global Water (+21,4% nell’ultimo anno), Lyxor Etf Water (+20%), PowerShares Nasdaq Omx Global Water (+16,1%).
Il mondo ha sete
Sul nostro pianeta sono presenti circa 1,4 miliardi di km quadrati d’acqua, ma solamente lo 0,2% di questa può essere utilizzata dall’uomo, in quanto acqua dolce. Di questo 0,2% (ovvero 2,6 milioni di km quadrati), solo il 4% si trova in superficie. Ad oggi, il 70% della domanda d’acqua arriva dal settore agricolo, il 22% da quello industriale e il restante 8% dal consumo individuale. Secondo le ultime stime, il consumo idrico mondiale è cresciuto di nove volte dal 1900 ad oggi. Inoltre, la domanda domestica e quella industriale presentano un tasso di crescita due volte superiore al tasso di crescita della popolazione.
Ogni giorno “mangiamo” 3,5 mila litri d’acqua
L’acqua si beve, certo, ma si mangia anche. Il concetto è stato introdotto da Tony Allan, professore di scienze ambientali all’Università di Londra, il quale ha pubblicato uno studio sulla quantità d’acqua necessaria per produrre beni alimentari e non solo.
Secondo lo studio, esistono due tipi d’acqua consumata: quella visibile e quella invisibile. La prima è quella che consumiamo per uso domestico (lavarsi, cucinare, bere), quantificabile in 137 litri ogni giorno. Il secondo tipo, invece, è l’acqua usata per la produzione industriale (ad esempio, l’industria elettronica ne utilizza molta), stimata dal professore in 167 litri ogni giorno, ma soprattutto l’acqua associata alla produzione di alimenti agricoli e di allevamento, stimata in 3.496 litri ogni giorno, vale a dire il 92% del consumo totale. Per produrre un kg di caffè, ad esempio, sono necessari circa 19 mila litri d’acqua, per produrre un kg di carne bovina servono 15 mila litri d’acqua, e così via. È chiaro quindi, che un maggior consumo di carne e di commodity agricole fa salire anche la domanda idrica.
L’austerità spinge le imprese private
“Tutto questo rende il mercato dell’acqua molto interessante per gli investitori, principalmente per due ragioni”, spiega Arnaud Bisschop, co-gestore del fondo Pictet Water. “Oltre alla domanda in forte crescita, grandi progetti infrastrutturali saranno necessari negli anni a venire. Solo in Europa, grazie alle nuove direttive comunitarie sull’acqua, sono previsti investimenti tra i 100 e i 150 miliardi di euro nel prossimo decennio. Ma non finisce certo qui. Negli Stati Uniti la rete infrastrutturale è vecchia di 80-90 anni e in alcune zone ha un immediato bisogno di essere ammodernata. A New York, ad esempio, hanno scoperto cavi in fibra ottica a pochi metri da tubi idrici in legno”.
“Il settore presenta una crescita a lungo termine”, prosegue Bisschop, “le valutazioni sono piuttosto basse e i fondamentali sono buoni”. Soprattutto, sembra essere l’inizio di un’era di privatizzazioni e di consolidamento industriale. “In un contesto in cui i governi sono schiacciati dalle politiche di austerità che tagliano la spesa pubblica, la tendenza alla partecipazione di imprese private nella gestione e nell’offerta dei servizi idrici è in costante aumento, il che allarga le possibilità d’investimento”.
Un’esempio eclatante in tal senso lo troviamo a casa nostra, in Italia, dove fra l’altro il 40% dell’acqua viene perso a causa del malfunzionamento della rete di trasporto. A giungo 2011, infatti, 26 milioni di italiani hanno votato “sì” al referendum che ha di fatto abrogado il decreto Ronchi, con cui si era deciso di privatizzare a scaglioni il settore idrico. Eppure, nonostante l’abrogazione, non c’è stata alcuna riduzione delle tariffe e anzi, molti comuni stanno vagliando la possibilità di esternalizzare a imprese private la gestione dell’acqua proprio per problemi di bilancio.
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