Quando si tratta di fiscal cliff, azionisti e top manager delle aziende Usa non remano dalla stessa parte. Per gli economisti e i politologi, invece, non ci sono alternative: o l’America trova il modo di ridurre il deficit federale o il rosso delle casse statali si abbasserà con l’introduzione automatica dei tagli alle spese pubbliche e la contestuale cessazione degli sgravi fiscali introdotti da Bush Jr. In entrambi i casi, però, a rimetterci potrebbero essere i profitti aziendali.
Una possibilità che è diventata ancora più concreta nei giorni scorsi quando 80 amministratori delegati di società Usa hanno pubblicato un annuncio sul Wall Street Journal chiedendo un impegno concreto da parte del governo federale e di tutta la politica per affrontare la questione del debito. Secondo i top manager un aumento delle imposte è inevitabile e dovrebbe essere accompagnato da una diminuzione della spesa pubblica. Un atteggiamento in qualche modo sorprendente visto che viene da alcuni dei personaggi meglio pagati d’America su cui la scure del fisco rischia di essere particolarmente pesante. Tuttavia, dicono i Ceo, è l’unico modo per migliorare le prospettive congiunturali americane nel medio e lungo termine. Anche se, secondo i calcoli di Goldman Sachs, il fiscal cliff rischia di mangiarsi il 4% del Pil mandando la prima economia mondiale in recessione nella prima parte del 2013.
Meno deficit = meno profitti
L’appello degli amministratori delegati è ancora più sorprendente se si considera che la loro soluzione rischia di intaccare le entrate aziendali e, quindi, di scontentare gli azionisti (a cui dovranno poi rendere conto in assemblea). Per capire come questo sia possibile, bisogna rifarsi alla cosiddetta “Equazione di Kalecki sui profitti” (dal nome dell’economista di origine polacca, famoso negli anni ’30 e ’40, che l’ha elaborata). Facendo una serie di calcoli che tengono in considerazione anche i flussi dei fondi, la ricchezza prodotta dai diversi segmenti dell’economia e gli investimenti statali è possibile stabilire quali settori contribuiscono all’economia nazionale e in che misura. Fra questi ci sono anche i profitti aziendali (messi in rapporto con il Pil). Guardando all’Equazione dal 1952 al 2009 un’analisi della società di investimenti Gmo dimostra che ogni volta che il deficit statale è aumentato sono cresciuti anche i profitti delle aziende e viceversa.
Se il calcolo si dimostrerà giusto anche per il 2013 vuol dire che la crescita degli utili prevista per l’anno prossimo rispetto al 2012 (+11,6%) dovrà essere tagliata. Per risolvere anche questo problema si sta lavorando a diverse soluzioni. La più quotata è quella elaborata dalla National Commission on Fiscal Responsibility and Reform, (chiamata anche Commissione Simpson-Bowles, dal nome dei due presidenti che la guidano, rispettivamente un ex Senatore repubblicano e il capo di gabinetto di Bill Clinton quando era presidente Usa), che prevede modesti tagli alle tasse nel breve termine e riforme strutturali di lungo periodo.
Le scelte operative
Nonostante questo, secondo gli operatori, non bisogna abbandonare l’azionario. “Gli investitori sono giustamente preoccupati per la questione del fiscal cliff a cui si aggiungono la debolezza dell’economia mondiale e le escalation nei conflitti geopolitici. Tutti elementi che stanno facendo aumentare la volatilita”, dice Bob Doll responsabile delle strategie azionarie di BlackRock nell’ultima comunicazione agli investitori firmata prima di andare in pensione. “Tuttavia, dal punto di vista fondamentale, continuiamo a credere che l’equity sia interessante. Il mix di buone valutazioni, tassi di interesse ai minimi e un andamento dell’economia ancora con il segno più suggeriscono che le azioni continueranno a fare meglio dei bond almeno per i prossimi 12 mesi”.
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