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Alto rischio non fa rima con alto rendimento

Tra i titoli high yield, i migliori negli ultimi trent’anni sono stati quelli meno volatili. Nell’azionario, la strategia diventa low volatility.

Sara Silano 03/12/2012 | 16:50
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Scordate l’equazione più rischio uguale maggior rendimento. Se confrontiamo l’andamento dell’indice Barclays Us high yield Ba, che comprende i titoli obbligazionari di miglior qualità tra quelli più rischiosi, con il paniere di emissioni con elevate probabilità di fallimento (Barclays Us high yield Caa), vediamo che negli ultimi trent’anni il primo ha avuto un rendimento annuo mediamente superiore (+9,66% contro +7,98) a fronte di una volatilità, misurata dalla deviazione standard, inferiore della metà. In pratica chi si è accontentato di cedole più basse (in inglese si parla di yield) ha ottenuto un ritorno complessivo maggiore di chi ha investito in titoli molto rischiosi (e quindi con yield maggiore).

Cedole “reali”
Come si spiega questa apparente contraddizione? La chiave di lettura è il “rendimento reale”, che si ottiene sottraendo allo yield nominale, il costo di eventuali opzioni sull’obbligazione, che vengono stipulate per coprirsi o speculare sull’oscillazione dei tassi, i default e l’inflazione. Come spiega Ben Johnson in un webinar dal titolo “Come generare reddito con gli Etf”, gli investitori si fanno generalmente attrarre dalle cedole accattivanti, senza tenere in considerazione gli altri fattori che influenzano la performance complessiva e la situazione debitoria storica dell’azienda.

Se abbandoniamo il concetto di yield “assoluto” e assumiamo quello di yield “relativo”, vediamo come nel caso delle obbligazioni, maggiori cedole corrispondano a ritorni aggiustati per il rischio inferiori. Ne consegue che l’investitore non deve concentrarsi sul rendimento, bensì sul rischio. L’errore più comune, quando ci guidano le emozioni, consiste nel rifugiarsi in titoli più sicuri quando il rischio sale (e i prezzi delle obbligazioni scendono) e, viceversa, dare la caccia al rendimento quando i tassi scendono (e le valutazioni salgono).

Tempi che cambiano
Questo comportamento è ancora più dannoso in una prolungata fase di tassi bassi come l’attuale. Nel 2008, il pensiero comune era che le banche centrali avrebbero stretto i cordoni monetari, perché l’inflazione sarebbe salita. Il Giappone, però, così come gli Stati Uniti negli anni Trenta, insegnano che ciò non accade in periodi di deleveraging (riduzione dell’indebitamento in rapporto al reddito). Nell’Unione europea questa situazione è destinata a perdurare dal momento che il rapporto tra il debito pubblico e il Pil (Prodotto interno lordo) rimane su livelli elevati. “Siamo entrati in una nuova era di repressone finanziaria”, dice Johnson, caratterizzata dal fatto che i governi prendono provvedimenti per incanalare verso se stessi fondi che, in un mercato deregolamentato, andrebbero altrove.

Strategie a bassa volatilità
Tenendo conto delle valutazioni, le prospettive di guadagni (reali) sono più rosee per le azioni rispetto alle obbligazioni, perché sono più a buon prezzo. L’equity, però, è più volatile. Se l’investitore non vuole farsi carico di questo rischio può scegliere le cosiddette low volatility strategy, che si focalizzano sulle azioni meno soggette a oscillazioni. Le statistiche storiche mostrano che tali aziende hanno avuto rendimenti in linea con il mercato dagli anni Trenta ad oggi, ma sono state meno volatili (risultati simili si sono visti in altre aree geografiche). Inoltre, sono state più generose nella distribuzione dei dividendi.

In Europa, sono quotati diversi Etf (Exchange traded product) specializzati in queste strategie, tra cui gli Ossiam minimum variance, che sono disponibili anche in Borsa italiana. In questo caso, l’indice ha lo scopo di selezionare i titoli più liquidi in modo tale che la volatilità attesa del portafoglio sia minimizzata. 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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