Altro che Maya. Il 2012, almeno in Italia, sarà ricordato come l’anno dei tecnici al governo e soprattutto della riforma delle pensioni, che ha segnato una piccola rivoluzione per il sistema previdenziale italiano, rendendolo molto meno generoso che in passato.
Dopo quella a firma di Amato, Dini, Prodi e Maroni, è infatti arrivata la riforma Fornero, ministro dell’ormai dimissionario governo Monti, in vigore dal primo gennaio 2012. Il Decreto prevede, tra l’altro, l’estensione del calcolo contributivo a tutti, il graduale innalzamento dell’età pensionabile e il congelamento dell’indicizzazione al costo della vita dell’assegno pensionistico per due anni (2012 e 2013) per le pensioni superiori a 1.486,29 euro al mese.
Detto questo, alcune novità saranno effettive proprio a partire dal primo gennaio 2013, come ad esempio l’aumento della soglia per la pensione di vecchiaia a 66 anni e tre mesi sia per gli uomini che per le donne e il sistema dell’adeguamento automatico dei requisiti pensionistici alle speranze di vita. Insomma, il traguardo della pensione sarà più lontano per tutti, non a caso il sistema prevede incentivi per chi prolunga la vita lavorativa. Nel 2013, inoltre, saranno ancora una volta colpiti i cosiddetti pensionati d’oro, con un contributo di solidarietà del 5% per la parte eccedente i 90 mila euro, del 10% per la parte eccedente i 150 mila euro e del 15% per la parte eccedente i 200 mila.
Adesioni ferme
Nonostante un oggettivo peggioramento dell’offerta di previdenza pubblica, le adesioni alla previdenza complementare restano sostanzialmente ferme. Infatti, secondo una ricerca a cura di Mefop, in generale, se da un lato si dovrà lavorare di più, dall’altro si riceverà un assegno più corposo, ma per meno anni. Così, nel rapporto dare-avere tra i lavoratori e l’Inps, nella maggior parte dei casi a guadagnarci sarà proprio l’ente previdenziale.
Eppure, i dati Covip parlano chiaro: al 30 settembre 2012, gli aderenti al secondo pilastro sono circa 5,76 milioni di persone, il 4% in più rispetto a fine 2011. In sostanza, solo un lavoratore su quattro aderisce alla previdenza complementare. Numeri molto al di sotto della media europea.
Busta arancione, sarà la volta buona?
Stando alle ultime dichiarazioni del presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, la tanto agognata “busta arancione” dovrebbe partire nei primi mesi del 2013. Ma forse, è meglio andarci coi piedi di piombo, anche perché fino a oggi non sono state comunicate date precise.
Della busta arancione se na parlava infatti già nel 2009, quando l’ex ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ribadiva l’importanza di questa pratica importata dalla Svezia, la quale non è altro che una comunicazione annuale da parte dell’ente previdenziale nazionale (in Italia quindi l’Inps) a tutti gli iscritti, con le stime della loro posizione individuale, ovvero lo stato del conto corrente previdenziale, le proiezioni sui tempi di maturazione dei requisiti per il pensionamento e il valore economico dell’assegno. Anche il ministro Elsa Fornero aveva ribadito l’importanza di questa pratica di trasparenza, che in fondo significa più consapevolezza dei lavoratori sulle proprie prospettive pensionistiche.
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